Nel Regno Unito, una giovane attrice ha deciso di intentare una causa legale contro i suoi vecchi impresari e contro la produzione teatrale che l’aveva scritturata per uno spettacolo, in quanto sarebbe stata licenziata per “discriminazione religiosa”. Le sarebbe costato caro l'avere criticato le battaglie della comunità Lgbt, tra cui quella per il matrimonio gay, appellandosi alla Bibbia.
La vicenda in questione, raccontata ultimamente dall’emittente Usa Fox News, riguarda la 25enne Seyi Omooba, considerata dalla critica britannica, fino a pochi mesi fa, una delle interpreti più sorprendenti, sul piano della bravura, del panorama artistico nazionale contemporaneo. Per le sue doti recitative, la ragazza, figlia di un pastore protestante, aveva attirato l’attenzione delle istituzioni teatrali Leicester Curve Theatre e Birmingham Hippodrome, che l’avevano scritturata per il musical teatrale Il colore viola, assegnandole il ruolo di Celie, il personaggio principale della rappresentazione.
Tuttavia, spiega sempre Fox News, il giorno dopo l’attribuzione della parte da protagonista, la Omooba si è trovata costretta a rispondere, davanti alla casa di produzione e ai suoi impresari dell’agenzia Global Artists, in merito a un suo vecchio tweet apparentemente “omofobo”, riportato allora alla luce da un collega della venticinquenne, l’attore Aaron Lee Lambert. Il testo incriminato, risalente al 2014, consisteva in una presa di posizione della diva contro il matrimonio gay e, nel medesimo tweet, lei giustificava la sua avversione citando versetti della Bibbia.
In particolare, facendo riferimento alla Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi (6:9-11) e al libro della Genesi (2:24), la Omooba, cinque anni fa, scriveva: “Molti cristiani non hanno alcuna consapevolezza di come affrontare il tema delle unioni omosessuali, e, di conseguenza, tendono a distorcere la parola di Dio. Non credo che si possa nascere gay e non credo neanche che l’omosessualità sia giusta”. L’invettiva in questione contro la propaganda Lgbt terminava quindi con le seguenti parole: “Dio ama tutti. Anche se spesso non è d’accordo con le scelte personali di ciascun individuo, non significa che non ami ognuno di noi. I cristiani devono aiutarsi e amarsi a vicenda, ma sempre dicendo la verità sulle parole che Dio ci ha tramandato”.
Aaron Lee Lambert, l’attore che ha inguaiato la Omooba scoprendo il tweet del 2014 e facendolo circolare nuovamente sul web, ha giustificato il proprio sgarbo ai danni della collega tacciandola di “ipocrisia”, in quanto avrebbe accettato di rivestire, nel musical Il colore viola, i panni di una donna omosessuale nascondendo le sue opinioni così fortemente critiche verso la comunità Lgbt.
Le accuse di “omofobia” lanciate da Lee Lambert ai danni dell’artista venticinquenne sono state in breve tempo condivise dai vertici di Leicester Curve Theatre, di Birmingham Hippodrome e della Global Artists, che hanno subito intimato alla diva di ritrattare. Le istituzioni teatrali e l’agenzia di talenti hanno appunto esortato ultimamente la Omooba a fare pubblicamente ammenda riguardo alle sue vecchie esternazioni tramite tweet che “associavano l’omosessualità al peccato”. Tuttavia, a mano a mano che le polemiche sul web si esasperavano e che sempre più notizie false provvedevano a dipingere la ragazza come una fanatica, costei è stata alla fine estromessa dal cast del musical. I suoi impresari, inoltre, le hanno annunciato di non volere più avere niente a che fare con lei.
La giovane promessa del teatro britannico, ha rivelato in questi giorni ai microfoni di Fox News, si è così ritrovata, di punto in bianco, senza più prospettive lavorative. Ad oggi, lei non avrebbe appunto trovato nessuna nuova agenzia disposta a scritturarla, perché la vedrebbero tutte come un’omofoba. Di conseguenza, la Omooba ha deciso di citare in giudizio la Global Artists e i produttori de Il colore viola per inadempimenti contrattuali e discriminazione religiosa.
Circa il trattamento riservatole dai suoi vecchi impresari, dal Leicester Curve Theatre, e dal Birmingham Hippodrome, la venticinquenne ha dichiarato: “Loro sapevano che ero cristiana, così come conoscevano le mie idee sul matrimonio e su molti altri temi, tutte maturate attenendomi alla Bibbia. I produttori teatrali e la mia agenzia mi hanno imposto di scegliere tra rinunciare alla mia carriera e rinnegare la fede. Non potevo assolutamente accettare quest’ultima opzione, neanche in nome del prosieguo della mia carriera da attrice”.
A difesa della giovane si è subito schierato Andrew Williams, rappresentante dello studio legale britannico Christian Legal Centre, specializzato in cause attinenti a discriminazioni per motivi religiosi, che ha affermato: “Questa storia manda un messaggio agghiacciante ai cristiani, a quelli attivi nel mondo del teatro così come a quelli presenti in qualsiasi altro contesto sociale.
Se costoro si azzardano a dare voce agli insegnamenti tramandati nella Bibbia, verranno immediatamente puniti. Soltanto se rinnegheranno le loro convinzioni più profonde potranno salvare le rispettive carriere professionali”.
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