Il Mulino s’infarina su Malagodi

L’editore bolognese ha rifiutato un saggio sul segretario del Pli negli anni ’50-60, presentato come avversario del fronte cattolico-progressista tanto caro a Prodi. Bell’esempio di liberalismo...

Il Mulino s’infarina su Malagodi

"Il liberalismo - scriveva Nicola Matteucci nel celebre Dizionario di politica che nel 1976 diresse insieme a Norberto Bobbio e a Gianfranco Pasquino - consiste in una situazione di possibilità per l’uomo di scegliere, esprimere e diffondere i propri valori, sia morali che politici, per realizzare se stesso". Un principio che vale anche per le istituzioni, e quindi anche per una casa editrice. E infatti, dal punto di vista del pensiero liberale, Il Mulino - che Matteucci fondò nel ’54 - ha il diritto e la libertà di "scegliere, esprimere e diffondere i propri valori" per realizzare la propria missione culturale, ed economica. E quindi decidere cosa pubblicare e cosa no.
Detto questo, stupisce e amareggia sapere (come ha raccontato ieri sul Corriere della sera Antonio Carioti) che una casa editrice della statura e della gloria del Mulino abbia rifiutato un libro come quello dello storico Giovanni Orsina su Malagodi, segretario del Partito liberale dal 1954 al 1972 e strenuo oppositore alla nascita del centrosinistra in Italia. Stupisce e amareggia per più motivi. Primo per i modi in cui è avvenuto il rifiuto: il libro, intitolato L’alternativa liberale, fu sottoposto una prima volta al Mulino nel novembre 2007, quando l’autore già collaborava con la casa editrice bolognese da parecchi anni, in pratica fin dalla laurea; poi, nell’ottobre 2008, fu inviata la versione definitiva, arricchita da moltissimi documenti consultati nell’archivio Malagodi. E un ulteriore sollecito fu fatto il marzo scorso. Eppure nessuna risposta. Un silenzio strano, oltre che lungo, visto lo status di Orsina (ecco il secondo motivo di stupore): collaboratore prestigioso del Mulino, professore alla Luiss di Roma, diversi saggi in curriculum, dal 2000 direttore scientifico della Fondazione Einaudi (e in passato collaboratore del Giornale). Terzo motivo di stupore: la "giustificazione" fornita dall’editore. La risposta data al Corriere dal responsabile delle collane storiche del Mulino Ugo Berti (che ieri però si è negato al Giornale) è che "i saggi di ricerca storiografica hanno un mercato ridotto" e "a volte faticano anche ad arrivare in libreria". Detto da qualsiasi altra casa editrice, può essere un motivo comprensibile. Ma detto dal Mulino, un colosso che pubblica 330 titoli l’anno ed è tra i marchi più noti nella saggistica e leader nel mercato dell’editoria universitaria, be’, suona davvero strano...
Ripetiamo: ogni editore può pubblicare ciò che preferisce, e può anche non motivare un rifiuto. Ma leggendo l’intervista qui a fianco a Giovanni Orsina, il quale spiega bene il "fastidio" dell’editore ("può darsi che il modello prodiano del Mulino degli ultimi anni, un modello cattolico-progressista, non abbia accolto di buon grado un libro che ha per protagonista uno come Malagodi, il quale pensava che i cattolici avessero fatto male ad allearsi con i socialisti"), ci assale un sospetto. Ossia che mezzo secolo, tanto separa l’esperienza di Malagodi dai nostri giorni, sia passato invano; e che, almeno nella Bologna "prodiana", ancora sopravviva la vulgata storiografica che ha dominato egemonicamente la cultura italiana nel secondo ’900: quella di sinistra.
Il Mulino è libero di sbattere la porta in faccia a chi vorrebbe raccontare una storia diversa. Ma un vero liberale come Nicola Matteucci, fondatore della casa editrice, ci avrebbe pensato due volte prima di farlo.

E una risposta, fosse solo per questione di eleganza, l’avrebbe data. Ma Matteucci non c’è più. Come non c’è più Giovanni Evangelisti, direttore editoriale per 44 anni, fino al 2008. Mentre oggi c’è... Ecco, appunto, ma chi c’è al Mulino, oggi?

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