Da bambina pensava di diventare un'«inventrice», racconta. L'incontro con la musica le ha «spostato» i sogni, portandola nei Conservatori. Forse, per un attimo ha ipotizzato di fare la musicista classica, ma gli incontri possono essere catastrofi, in questo caso positive. Come quello con il musicista britannico Aphex Twin, «genio del nostro tempo». Parla Caterina Barbieri, 34 anni (dieci album pubblicati e una marea di concerti, eventi e collaborazioni alle spalle) che è appena stata nominata direttrice della Biennale Musica di Venezia per il periodo 2025-2026, il festival numero uno in Italia dedicato ai generi contemporanei colti e affini. Risponde alla domande, via etere, dalla Thailandia, dove si trova per un tour (dopo Bangkok, Taipei e quindi Tokyo).
Caterina Barbieri, classe 1990, bolognese che vive a Berlino, seconda donna - compositrice elettronica - al vertice della Biennale Musica, la più giovane.
Che effetto le fa?
«Un bel segnale di cambiamento, per l'Italia, un Paese che è un po' museale, a volte mummificato, dove raramente si dà spazio ai giovani, soprattutto alle donne giovani. Voglio dare voce a questo cambiamento».
Non sente il peso della «tradizione», il peso dei grandi Maestri del passato, con scelte relative alle avanguardie e alla contemporanea «derivata»?
«Mi sono liberata dal peso della tradizione un po' di anni fa».
Quali sono stati e quali sono i suoi «pilastri»?
«Forse i miei primi modelli, che poi per me hanno rappresentato un passaggio per la musica elettronica, sono stati i compositori del minimalismo americano storico. Mi riferisco a Steve Reich, Terry Riley e La Monte Young; sono rimasta folgorata dalle loro musiche. Trovo che quella corrente, con tutte le declinazioni più recenti, abbia rappresentato un bell'esempio di sincretismo culturale».
Vuole approfondire?
«È una musica che ha integrato elementi dell'elettronica, dei linguaggi afro-occidentali, della musica indostana, che è stata il mio inizio. Ho realizzato pubblicazioni discografiche con un'etichetta Usa legata a quel mondo. Dunque sono entrata in contatto con compositrici come Pauline Oliveros».
Quanta musica elettronica intende inserire nei programmi della prossima Biennale Musica?
«Prima di me, in questo senso, c'è stata Lucia Ronchetti, che ha fatto un ottimo lavoro. Una specificità della musica elettronica è quella di rompere la rigidità settoriale, un genere che dialoga con tante tradizioni, dal jazz alla contemporanea più strumentale al folk. Interessante è valorizzare queste intersezioni e nel futuro cercherò di concentrarmi su questo».
Sulla «tavola musicale» della kermesse veneziana quali autori non potranno mancare?
«Non mancherà il filone da cui vengo, quindi il minimalismo americano, sia storico sia contemporaneo. Vorrei concretizzare la mia visione: la musica come portale del futuro, come immaginazione dell'impossibile».
Qual è la sua cifra come compositrice?
«È il risultato del mio essere a contatto con il mondo artistico attuale, reale, non di nicchia e fatto da un pubblico trasversale».
Altri esempi che magari vedremo al «suo» Festival...
«Penso a novità come la rivitalizzazione della Drone music, attraverso strumenti antichi, come l'organo da chiesa, penso al belga Maxime Denuc; sempre in generale, per capirci, voglio citare la scena di musiciste che lavorano per incrociare la contemporanea con l'elettronica, personaggi come Kali Malone e Sarah Davachi».
Il suo fare musica, cultura, affronta anche i temi dell'attualità?
«Credo che ci sia una forma di attivismo anche con la musica. Detto questo, non amo essere così esplicita, mi piace essere più esoterica, lasciare spazio all'interpretazione».
Gran finale: l'IA e il suo sogno nel cassetto...
«Sono un po' scettica sul fatto che il futuro venga dall'intelligenza
artificiale, nell'ambito artistico, fino a ora non ho visto grandi innovazioni. La sfida del futuro sarà rivitalizzare il rapporto creativo con la tecnologia. Il mio sogno? Sentire il silenzio dello spazio interstellare...».
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