La rivoluzione pop: un produttore su 4 crea musica con l’Ia

Fenomeno in crescita. Mazza: "Legalità fondamentale". Ruggeri: "Scorciatoia"

La rivoluzione pop: un produttore su 4 crea musica con l’Ia
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Intanto il grande pubblico non se ne accorge (per ora). Ma l’intelligenza artificiale sta concretamente cambiando la musica e non sempre in meglio. Non c’è stato ancora uno sciopero delle popstar come quello degli sceneggiatori che nel 2023 ha paralizzato Hollywood per 148 giorni. Però i segnali di disappunto sono chiari e le incertezze legislative non fanno altro che aumentarli. Tanto per capirci, l’intelligenza artificiale può influire su ogni fase del processo creativo della musica, dalla generazione al mastering fino allo streaming. Ci sono strumenti «open source» come Udio, che consente a chiunque, ma proprio chiunque cioè anche chi sa suonare al massimo il citofono, di creare tracce musicali e, non a caso, è definito come «ChatGpt della musica». Curiosamente, uno dei «generatori di musica» più utilizzati è l’Amadeus Code che, sfruttando progressioni di accordi delle più famose canzoni del mondo, consente a chiunque di creare nuove canzoni. Nella visione più corretta, l’intelligenza artificiale (che sfrutta machine learning e algoritmi avanzati) non punta a sostituire la creatività umana ma vorrebbe aumentarla.

Ma, nella pratica, il problema è serio. Qualche mese fa, circa 250 artisti americani, da Billie Eilish a Katy Perry a Pearl Jam e Rem e Nicki Minaj, hanno firmato una lettera aperta contro l’uso irresponsabile dell’intelligenza artificiale generativa. Occhio, non contestano l’«uso responsabile» ma quello che sabota la creatività e indebolisce «artisti, cantautori, musicisti e detentori di diritti». Intanto, qualche settimana fa la Recording Industry Association of America ha avviato, per conto di Universal, Sony e Warner, una causa contro due start up che producono musica con l’Ai, ossia l’intelligenza artificiale. Per capirci, si contesta lo sfruttamento abusivo di opere protette dal diritto d’autore per le «procedure di addestramento» (proprio così) degli algoritmi di intelligenza artificiale.

Traduzione per chi non se ne intende: queste start up «nutrono» i propri algoritmi con la musica più famosa e creativa per creare altra musica artificiale. Il tutto gratis, senza corrispondere neanche un centesimo a chi quella musica ha scritto, pensato, suonato. Insomma, dalla «musica del messaggio» come voleva Beethoven si è arrivati alla «musica di passaggio» che passa dal creatore a chissà chi senza (al momento) una regolamentazione decisiva. Enzo Mazza, esperto autorevole e Ceo della Federazione Industria Musicale Italiana impegnato ieri in un panel al Giffoni Festival, pensa che «l’Ai generativa è sicuramente una grande opportunità per il settore. Una nuova rivoluzione tecnologica che consentirà di esplorare nuove frontiere creative. Ma è fondamentale che ciò avvenga in un contesto legale e trasparente». Al momento, come spesso accade in questa fase di trasformazioni e innovazioni fulminee, sembra che la strada della tutela normativa sia ancora lunga. Enrico Ruggeri, uno che ha scritto pagine originali e inimitabili di musica, è tranchant: «Il mondo della musica è un mondo di scorciatoie con gente che non sa cantare e usa l’autotune dicendo che è uno strumento... L’intelligenza artificiale è la regina delle scorciatoie. Continuo a pensare che Gaber e Jannacci, De André e Dalla, ma potrei citare anche tanti altri compositori in vita, non l’avrebbero usata perché l’Ai non è capace di uscire dalle regole, invece la grande musica e i grandi testi sono quelli che escono dalle regole». Chiarissimo.

Come dicono in molti, è più facile per l’intelligenza artificiale confezionare una hit in stile Michael Jackson che realizzare un pezzo dei Radiohead o di Peter Gabriel. Ma forse è solo (purtroppo) questione di tempo. Pochi giorni fa, come riportato da Rockol, la società svedese Tracklib (una delle principali banche dati online di suoni e campioni) ha pubblicato un sondaggio secondo il quale ben il 25% dei produttori mondiali userebbe regolarmente l’Ai per le proprie produzioni. La maggior parte di loro lo fa in modo «non generativo», mentre il 20% crea suoni partendo da zero e il 3% fa proprio canzoni intere. Uno scenario che potenzialmente è destinato a cambiare presto e non certo per tornare al passato.

In poche parole, urge una regolamentazione precisa per garantire che la musica rimanga una cosa seria e non diventi esclusivamente un gadget da playstation (come peraltro aveva previsto, in altri termini, Brian Eno tanti anni fa).

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