Un Paese imprigionato nel passato, soprattutto nel XX secolo: altro che secolo breve, è interminabile. Benito Mussolini e il regime. Gli anni dei movimenti, della contestazione, della P38. I film e le serie tv italiane alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia sono impegnati a riflettere sulla nostra storia. Sintomo di smarrimento generale o stanchezza delle produzioni, incapaci di gettare lo sguardo sul presente? Probabilmente entrambe le cose. Come sempre, la parte del leone tocca al Duce, ritratto nelle otto puntate delle serie tv M Il figlio del secolo tratta dall'omonimo romanzo di Antonio Scurati. Possiamo scommettere fin da ora che susciterà interesse e farà discutere. Noi ci chiediamo: è attuale? Dipende dal punto di vista. Per la sinistra, l'eventuale ritorno del fascismo è il fulcro della propaganda antigovernativa. Per la destra, fatta eccezione per qualche emarginato, l'eventuale ritorno del fascismo non è in agenda. Viene da chiedersi a chi giova questo eterno dibattito. Una idea ce l'abbiamo e la esponiamo.
Mentre ci azzuffiamo, si avanza qualcosa di assai peggiore del Ventennio. Una tecnocrazia fondata sul controllo e sul possesso dei dati digitali. Una tecnocrazia alleata degli Stati, fino a quando non li sostituirà del tutto. Una tecnocrazia che punta sul desiderio di omologazione. L'esercito dei consumatori deve desiderare le stesse cose in ogni luogo del mondo. L'esercito dei lavoratori deve ridursi a manodopera intercambiabile, prima di cedere il posto alle macchine. L'esercito dei conformisti, in nome della tolleranza, cancellerà ogni diversità, inclusa quella sessuale: non è forse l'epoca della fluidità di genere? Mentre il potere dibatte di questi temi, ci tiene impegnati con discussioni grottesche, tipo: tornerà il fascismo? È finita l'epoca del manganello, ora noi tutti chiediamo di essere dominati da un totalitarismo così soft da essere in grado di colonizzare i desideri e la fantasia. Chi sarebbe così stupido da tirar fuori l'olio di ricino?
L'altro punto sempre in discussione è il Sessantotto, che prosegue fino al Settantotto, per poi spegnersi negli anni Ottanta, con cicliche fiammate nostalgiche. Ecce Bombo di Nanni Moretti viene presentato al pubblico in versione restaurata. È il film forse più amato di Nanni Moretti, se non il più bello. Con somma ironia, il regista dipinge alla perfezione il passaggio dal marxismo al goscismo, dalla scienza di Marx alla fantasia al potere, dalla lotta di classe ai diritti per tutti. Non è così lontano, paradossalmente, dalle analisi provenienti da destra. Augusto Del Noce aveva teorizzato che il Partito comunista sarebbe diventato un Partito radicale di massa, e che la rivoluzione sarebbe passata dalle piazze alle camere da letto. Beh, in fondo, Moretti ha qualche tratto conservatore. Il regista ha ricordato di essere stato sorpreso dal (relativo) successo e dalle grasse risate del pubblico. Era scattata una immedesimazione totale con i personaggi borghesi, irresoluti, un po' ignoranti, generosi ma inconcludenti nel loro sinistrismo.
E poi, oltre a Ecce Bombo e M c'è tutto il resto. Campo di battaglia di Gianni Amelio ci porta all'ultimo anno della Prima guerra mondiale, in un ospedale da campo nei pressi del fronte. Stefano Zorzi e Giulio Farradi (Alessandro Borghi e Gabriel Montesi) sono due medici divisi da opposte concezioni del loro dovere di soldati e le condizioni estreme degli uomini che arrivano da loro li mettono a dura prova. Vermiglio di Maura Delpero ricostruisce realisticamente la vita di un villaggio trentino nell'arco delle quattro stagioni. Siamo però nel tragico 1944. La guerra è un orizzonte lontano ma onnipresente. Tre sorelle decidono di accogliere un soldato bisognoso di aiuto. La loro vita cambia per sempre. Iddu di Fabio Grassadonia racconta una vicenda ispirata a quella del boss mafioso Matteo Messina Denaro. Siamo nel 1990. Diva futura di Giulia Louise Steigerwalt è dedicato alla epopea pornografica di Riccardo Schicchi, l'uomo che ha lanciato Cicciolina e Moana Pozzi. L'orto americano di Pupi Avati, tratto dall'omonimo romanzo del regista, è un racconto gotico con rimandi storici all'immediato dopoguerra. Siamo dunque a Bologna, negli anni Quaranta inoltrati. Il tempo che ci vuole di Francesca Comencini è un film autobiografico, un racconto di alcuni momenti trascorsi dalla figlia d'arte con il padre Luigi, grande regista. Intorno, un periodo storico preciso: gli anni di piombo, quelli delle lotte politiche, delle stragi, delle rivoluzioni sociali, dell'eroina. Per chi volesse poi cambiare secolo ma indietro nel tempo, non certo avanti, c'è la miniserie Leopardi il poeta dell'infinito di Sergio Rubini, protagonista, ovviamente, il conte Giacomo che già aveva acceso la fantasia, non molti anni fa, di Mario Martone.
Naturalmente non è una questione di qualità, almeno per ora, e si può essere grandi innovatori del linguaggio cinematografico anche con una pellicola ambientata nell'età della pietra.
D'altronde il cinema, come la cultura in generale, è lo specchio dei nostri tempi ossessionati, nel dibattito pubblico, dal Novecento. Nulla di strano che i registi cerchino le storie nella Storia, nel passato. Certo, il cinema, nell'epoca del digitale, dell'immagine, del meme si direbbe il mezzo perfetto per esplorare il futuro.
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