A Nantucket, nel museo dove rivive l'ossessione perenne per il leviatano

A Nantucket, nel museo dove rivive l'ossessione perenne per il leviatano

A Nantucket, nel museo dove rivive l'ossessione perenne per il leviatano
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Il profumo di clam chowder, la zuppa di vongole che spopola in New England, è fuorviante. Come fuorviante è la concentrazione di splendidi edifici pre-guerra civile elegantemente ristrutturati. Vista così, Nantucket è un’isola signorile e agiata a due ore di traghetto (560 dollari per il trasporto auto...) dalle coste di Cape Cod e del Massachusetts. Ma c’era un tempo in cui qui imperavano rigore quacchero ed etica del lavoro calvinista, tecnologia e capitalismo, sofferenza e sacrificio. Erano il XVIII e XIX secolo, quelli in cui la «terra molto lontana» (questo significa Nantucket nella lingua dei nativi) era la capitale mondiale dell’industria baleniera e l’odore nauseante della carne di cetacei e del loro grasso in ebollizione si poteva sentire a 20 miglia di distanza.
Oggi le balene sono in via di estinzione e le tracce di quella straordinaria epica imprenditoriale che fece la fortuna della East Coast americana e ispirò a Herman Melville le densissime pagine di Moby Dick rivivono soprattutto nel «Whaling museum», una perla in cui l’avventuroso immaginario della caccia al cetaceo bianco trova un corrispettivo storico se possibile ancor più impressionante. Perché uno può sapere a memoria le citazioni del capitano Achab ed aver visto decine di volte In the Heart of the Sea, il film di Ron Howard che racconta il naufragio della baleniera Fssex, affondata da un capodoglio inferocito nel 1820, ma toccare con mano quanto è piccina la lancia dei fiocinieri paragonata allo scheletro di una sperm whale appeso al soffitto, ammirare da vicino gli arpioni, le lame e i calderoni in cui veniva sciolto il grasso, annusare l’ambra grigia usata in cosmetica e restare stupefatti davanti ai ventagli, ai gioielli e ai bastoni intarsiati in ossa di balenottera, beh, è quasi più travolgente.


Imparare è sempre un’emozione mista, la magia della curiosità che diventa scoperta. E in queste sale espositive in cui si alternano dimostrazioni e racconti dal vivo, nozioni ed emozioni non mancano. Non solo sale l’adrenalina nel pensare al «Nantucket sleighride», quel momento in cui la balena arpionata iniziava a fuggire trascinando le lance come una slitta impazzita. Ma è affascinante pure scoprire che furono i Wampanoag, la tribù indigena da cui discende il personaggio melvilliano Tashtego, ad insegnare ai coloni inglesi la caccia alle balene, mentre fu l’evoluzione marittima a consentire di armare navi sempre più grandi in grado di seguire le prede per tutti gli oceani, in viaggi lunghi anni. E si scopre che nativi e afroamericani erano parte non trascurabile della forza lavoro a bordo, con alcuni casi eccezionali come la Industry, la prima nave interamente guidata da neri, varata nel 1822 dal mercante abolizionista Absalom Boston.
Come ogni storia, tutto si intreccia e tutto ha una fine. E dall’apice dell’industria, quando le candele di spermaceti (la sostanza nella testa dei capodogli) illuminavano i salotti d’America e l’olio di balena accendeva le lampade anche sottozero, a fine Ottocento si chiude un’era.

La guerra civile, il cherosene come nuovo combustibile, la modernità che avanza e tutto tritura, restituendo al Massachusetts un’isola pronta a diventare meta turistica - oggi d’estate quintuplica la sua popolazione - e al mondo la mitologia irresistibile dell’uomo che lotta contro il leviatano.

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