Con i crolli degli edifici storici l’ex complesso industriale della Corradini sta gradualmente scomparendo, prima ancora che si possa procedere al suo temuto abbattimento per fare spazio alla Darsena di levante. Secondo il masterplan del porto di Napoli, approvato nel 2018 in presenza del presidente Pietro Spirito, va demolito. Questo è il destino che si vuole riservare a un sito dismesso di interesse storico-architettonico. Considerato testimonianza di archeologia industriale, l’ex Corradini è stata assoggettata a vincolo culturale con decreto del Ministero per i beni culturali e ambientali del 27 febbraio del 1990. Il complesso, quindi, oltre ad essere inalienabile, dovrebbe essere preservato dal proprietario, che dal 1999 è il Comune di Napoli. Ma, se da una parte i progetti in programma per il porto prevedono che l’ex fonderia debba sparire, dall’altra parte il Comune di Napoli, oltre a lasciarla sgretolare nell’abbandono, l’ha inserita nell’elenco del 2019 dei suoi beni immobiliari da dismettere. Intanto gli antichi e decrepiti opifici continuano a sprofondare, nell’indifferenza totale delle istituzioni deputate a intervenire per la loro tutela e conservazione.
Richieste di messa in sicurezza rimaste disattese
L’inarrestabile decadimento del sito è chiaro osservando alcune foto di Marco Ferruzzi, un architetto che vive nella periferia orientale di Napoli. Le immagini risalgono a circa 15 anni fa, quando ancora si vedevano alcune delle strutture che oggi risultano crollate o deformate dai cedimenti. Ferruzzi da tempo segnala le condizioni disastrose in cui versa la ex Corradini. Per chiedere la tutela di quel patrimonio architettonico e segnalare le situazioni di rischio, nell’ultimo anno e mezzo ha scritto al Ministero dei beni e delle attività culturali, a quello dell’Ambiente, alla Soprintendenza, al sindaco di Napoli, al prefetto, alla procura. Il giovane architetto napoletano invoca la messa in sicurezza dell’ex stabilimento metallurgico. Ma nessuna azione concreta è seguita alle sue segnalazioni, partite il 24 giugno del 2018, quando apprese che nel masterplan del porto di Napoli era previsto l’abbattimento dell’ex Corradini. “L’amministrazione comunale è tiepida e prona ai voleri del Demanio e dell’Ente portuale”, commentò dopo pochi giorni nella sua risposta scritta Augusto Vistale, il responsabile per la Campania dell’Aipai, l’associazione italiana per il patrimonio archeologico industriale.
“Vogliono fare un’altra colmata replicando quanto è già successo a Bagnoli. Tutto questo, per realizzare uno scalo commerciale enorme, creando una situazione ingestibile, perché il centro abitato è vicino e le emissioni delle navi sarebbero insostenibili, e perché siamo in area Sin, cioè un sito di interesse nazionale che va bonificato e su cui non va apportato un altro carico di inquinamento”, commenta oggi Ferruzzi. E con lui sono d’accordo molti residenti e comitati locali. Nel frattempo nessun intervento è stato messo in atto per la messa in sicurezza dell’ex complesso metallurgico, se non quello d’urgenza del Comune di Napoli dettato dall’emergenza che si presentò lo scorso 21 gennaio, quando le macerie di uno degli edifici del complesso si riversarono su una strada pubblica, per fortuna senza colpire nessuno. Un intervento - l’unico - circoscritto all’area interessata dal crollo. I detriti finirono su via Innominata, la sola percorribile per accedere al sito e per giungere a due piccole spiaggette in località Vigliena, frequentate da bagnanti e pescatori che continuano a entrare in un mare non balneabile e reso pericoloso dalle correnti generate dalle acque di raffreddamento che scarica la centrale termoelettrica. Oggi, la strada su cui a gennaio scorso si riversarono i detriti, risulta per un tratto interdetta per metà. Poco più di 28 mila gli euro destinati dal Comune ai lavori di somma urgenza. “Hanno finito di buttare giù l’edificio, invece di puntellarlo, come dovrebbe accadere per un bene vincolato”, commenta l’architetto Ferruzzi. Sulle condizioni in cui versa tutto il sito della ex Corradini, a marzo scorso fu presentata un’interrogazione parlamentare dai deputati del Movimento cinque stelle, rimasta finora senza risposta.
Sito abbandonato e pieno di insidie
In mancanza di misure atte a preservare ciò che è rimasto degli opifici del passato, la situazione all’interno dell’ex complesso industriale sta solo peggiorando. In quell’area di circa 39 metri quadrati, stretta tra il mare e la linea ferroviaria, vige ancora l’abbandono. Il sito, oltre a presentarsi insicuro e in rovina, viene utilizzato come discarica di rifiuti. Alcuni punti sono impraticabili per la quantità enorme di immondizia accatastata. Sono ammucchiati rifiuti di ogni genere. Ci sono carcasse di auto e moto. Il pericoloso amianto, che sarebbe stato rimosso in passato, ancora forma le coperture di qualche capannone, e nell’area si trovano disseminati i pezzi di qualche lastra. Tra la fitta vegetazione spontanea viene fuori anche un tabellone che segnala “lavori di realizzazione della banchina di Levante nel porto di Gioia Tauro”, le cui condizioni fanno immaginare che sia stato sversato recentemente. Come sia arrivato da Reggio Calabria a Napoli, in un bene comunale con vincolo culturale, può saperlo solo chi lo ha abbandonato. Resta un mistero come siano finiti tutti quei rifiuti speciali in quel posto, dove gli unici accessi possibili ai veicoli sono due: un cancello che si apre dall’interno di un rimessaggio e un altro in via Innominata, chiuso con un catenaccio. A piedi, invece, chiunque può entrarvi dalla spiaggetta di Vigliena. Tra la spazzatura, sotto i corpi cadenti delle vecchie fabbriche hanno trovato riparo dei senzatetto e degli sciacalli che, indisturbati, stanno privando gli edifici storici rimasti in piedi di quelle impalcature arrugginite che, per le condizioni in cui versano, non sono nemmeno più in grado di assolvere alla loro funzione di sostegno. Come abbiamo documentato in esclusiva nei giorni scorsi, le stanno smontando alla luce del sole, contribuendo così alla devastazione certa per un sito che è storico. La pavimentazione in basoli, i corpi di fabbrica in tufo, pilastri in ghisa con basi e capitelli, solai in putrelle e voltine di mattoni, potrebbero raccontare quella storia industriale che anche a Napoli ha fatto il suo tempo.
La storia
La ex Corradini potrebbe diventare una piccola Pompei della rivoluzione industriale, invece sta cadendo a pezzi sotto il peso di una inattività che non è chiaro se sia determinata dall’inettitudine o da una precisa volontà amministrativa. A comporre oggi il sito è ciò che resta di quelle fabbriche dagli stili architettonici risalenti alle diverse epoche in cui nacquero. La presenza di edifici multipiano fa supporre che una produzione tessile abbia anticipato quella metallurgica, che avveniva in capannoni terranei in muratura, con campate multiple e tetto a falde. Gli stabilimenti si svilupparono tra il 700 e l’800 lungo la linea di costa, quando parallelamente fu realizzata la prima linea ferroviaria italiana, la Napoli-Portici. All’epoca San Giovanni a Teduccio era ancora un comune, e diventò un’importante zona industriale. La data del 1828 era riportata sulla targa trovata sull’antico stabilimento in muratura e ferro “Dent Allcroft” (poi inglobato nella “Pellami De Simone”). Nel 1872 sorse lo stabilimento metallurgico Deluy-Garnier che nel 1906, posto in liquidazione, fu aggiudicato all'imprenditore svizzero Giacomo Corradini. Nel 1925 San Giovanni venne assorbita nel capoluogo partenopeo e divenne riferimento della Napoli industriale e operaia. Con il calo della produzione che colpì il secondo dopoguerra La Corradini andò in crisi e nel 1949 fu posta in liquidazione. Nel 1960 i suoi immobili furono associati quelli della Pellami De Simone. Quando nel 1999 il Comune di Napoli ne diventò proprietario, il complesso era costituito da 54 unità immobiliari, tutti relitti.
Fondi per la riqualificazione mai avvenuta
Nel 2003, una parte del complesso fu affidato in concessione dalla società “Porto fiorito” per la realizzazione di un porto turistico, un’altra parte invece doveva essere riqualificata con i fondi elargiti al Comune nell’ambito del “Piano nazionale per le città”. Nel 2015 il sindaco Luigi De Magistris sottoscrisse con il Ministero delle infrastrutture una convenzione per il "Completamento del restauro degli edifici di archeologia industriale ex Corradini". Per il recupero dell’ex area industriale al Comune furono destinati circa 21mila euro. L’idea, secondo il progetto presentato dall’attuale amministrazione comunale, era di dar vita a un distretto culturale con spazi per attività ricettive e per il tempo libero. Oggi il porto turistico è rimasto sulla carta, e quello che doveva diventare un polo culturale sta venendo giù, in mancanza di azioni dirette a salvaguardarlo. I cartelli che segnalano il rischio di crolli sono ormai sbiaditi, le erbacce coprono la maggior parte della superficie, in parte formata dai rari e pregiati basoli. I manufatti versano in condizioni di degrado diffuso: sono pericolanti, pieni di lesioni e con cedimenti delle parti in muratura. I solai risultano in parte crollati.
La riqualificazione del sito era stata pensata anche per riavvicinare l’uomo a un mare negato in passato dall’inquinamento industriale e oggi da scarichi di liquami noti a tutti da anni. Ma aumentano solo le macerie.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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