La diplomazia del narcotraffico

La ’ndrangheta non è più soltanto una multinazionale del crimine, ha anche una rete diplomatico-affaristica capace di incrociare i traffici criminali delle altre organizzazioni sparse per il mondo e di riuscire a intercettare il loro bisogno di logistica e di affidabilità

La diplomazia del narcotraffico

Chiamatela pure diplomazia del narcotraffico. Dall’inchiesta giudiziaria della Dda di Milano, al di là di quelle che saranno le implicazioni penali per indagati e arrestati, emerge uno spaccato affascinante di come l’organizzazione criminale calabrese, ormai sostanziale monopolista del narcotraffico mondiale, riesca a muovere le sue pedine su tutti i continenti del globo terracqueo, dal Sudamerica all’Albania, dalla Cina alla Spagna con ramificazioni in Belgio e Paesi Bassi, passando per il Marocco e l’Italia.

La ’ndrangheta non è più soltanto una multinazionale del crimine, ha anche una rete diplomatico-affaristica capace di incrociare i traffici criminali delle altre organizzazioni sparse per il mondo e di riuscire a intercettare il loro bisogno di logistica e di affidabilità. Come una rete consolare sicura per spostare dappertutto qualsiasi cosa, compresi gli enormi proventi del traffico di sostanze stupefacenti, che attraverso alchimie contabili, false fatturazioni, criptovalute con privacy blindata ma anche i soliti spalloni, che finiscono per inquinare l’economia legale attraverso la contaminazione di esercizi ad alto contenuto di contante (edicole, bar, farmacie, ristoranti, pompe di benzina).

Le indagini della Guardia di Finanza ma anche di Europol ed Eurojust, grazie alla decriptazione di telefonini teoricamente inintercettabili, confermano ciò che si sa da anni: la gestione del traffico di droga è in mano agli Albanesi che controllano direttamente dei porti in Sud America. Tra quelli principali c’è l’Ecuador, che nei mesi scorsi è tornato alla ribalta per alcuni disordini dietro i quali ci sarebbe la mano del criminalità albanese. «L’ingentissima massa di denaro contante» che il sodalizio legati al capo ultrà della curva milanista Luca Lucci avrebbe utilizzato dei broker cinesi per occultare i profitti del narcotraffico - pare circa undici milioni di euro cash - grazie ai canali bancari sommersi (il cosiddetto «underground banking») con il sistema del tutto anonimo denominato fei eh ’ien.

Se in Italia le piazze principali dell’organizzazione sono in Lombardia ed Emilia Romagna (Modena, Milano, Pavia e Monza), è altrove nel mondo che, assieme alla droga, i mercanti possono portare qualsiasi cosa: armi, sigarette di contrabbando per Germania, Romania, Slovenia e Ungheria come esseri umani, altrettanto redditizi, vedi le rotte latino-americane gestite dai cartelli messicani che portano al confine con gli Stati Uniti. Con la stretta sui trasporti via mare nel Mediterraneo le rotte si sono diversificate. Per esempio ai flussi di venezuelani, ecuadoriani, haitiani e cinesi che partono proprio dall’Ecuador si sono aggiunti gli africani che tentano di superare il confine del Rio Grande dopo le chiusure nel Mediterraneo centrale, attraverso Honduras, Guatemala e Messico, come spiegano Antonio Nicaso e Nicola Gratteri nel loro libro «Una cosa sola», disponibile già in eBook per Mondadori. Dove si scopre che i colombiani spediscono migranti e droga contemporaneamente su imbarcazioni identiche verso gli Usa passando dal Messico. I clandestini distraggono la polizia, il carico di cocaina passa velocemente. Nel 2023 secondo Avvenire dall’Africa al Nicaragua in Sudamerica sarebbero arrivati 60mila profughi.

Resta invece molto viva la tratta in mano a turchi e ex jugoslavi che da Turchia e Grecia è diretta in Calabria col suo carico di afghani, siriani, iraniani e iracheni, soprattutto nel Crotonese (vedi la strage di Cutro dell’anno scorso) dove i clandestini finiscono nei centri d’accoglienza infiltrati dalla ’ndrangheta, che ha bisogno di questa manodopera a basso costo nei mercati ortofrutticoli da Fondi a Milano e in Sicilia.

Tanto che alcuni approdi del mar Adriatico del Nord come Trieste ma anche Venezia, come dall’altro versante Livorno, Genova e Savona stanno diventando più importanti di Gioia Tauro come porti di approdo per la droga perché i narcos cercano altre vie. A muovere le navi come i carrarmati a Risiko è la ’ndrina dei Molè, cosca calabrese della piana di Gioia Tauro specializzata nel traffico di droga per conto di ‘ndrangheta, camorra e albanesi, come ha scoperto la Procura di Firenze e la Finanza in un’indagine che ha toccato anche Calabria, Lazio, Puglia, Campania e Lombardia ma anche città cruciali come Barcellona, Anversa, Rotterdam e San Pietroburgo in Russia, così come Amburgo, Le Havre, Algeciras, Valencia e Salonicco, al pari di Malta. A Trieste si sarebbero interessati i distributori di cocaina colombiana di mezza Europa: svizzeri, albanesi, francesi, tedeschi, coordinati dalla cosca Ursini-Macrì che opera a Gioiosa Jonica, come si è scoperto dopo qualche mega sequestro negli anni scorsi grazie ad alcuni infiltrati.

Eppure oggi questa mafia fa più paura ma meno notizia, come scrive Ilvo Diamanti su Repubblica, «come fosse un fenomeno “normale”»

perché quasi la metà degli italiani la ritiene «meno violenta rispetto al passato», da cui «è difficile, anzi, impossibile “liberarsi”, anzi è necessario “convivere”». E questo è ciò che dovrebbe preoccupare la politica.

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