Gli occhi di Tosca, ora languidi al curvarsi delle orecchie ora interrogatori, mi scrutano. Tosca è una femmina di labrador: poco più di trentadue chilogrammi di un color miele dolce come l’adipe che da sette anni le disegna i fianchi quando la notte si accuccia accanto al mio letto e le zampe anteriori si arcuano come a tracciare un cuore. Un gesto di veglia e insieme di abbandono che significa fiducia, fedeltà, forse financo devozione verso la sua famiglia. Tosca palpita per chi abita con lei e lo stesso capitava a Ricky, il cocker spaniel che è stato gettato nel vuoto dal sesto piano a Roma da topi d’appartamento - la scelta di un termine animalesco non è casuale - messi in fuga dall’allarme mentre erano intenti a svaligiare l’attico di una famiglia probabilmente facoltosa.
Un atto da bestie, da cui trasuda un disprezzo per la vita talmente meschino che neppure sarebbe tollerabile per un logoro cencio appallottolato nel cestino dei rifiuti. Un atto antitetico allo stesso essere uomo; ontologicamente opposto a quella spinta, divina o nietzschiana poco qui importa, che dovrebbe dare l’energia a ciascuno per protendersi verso l’alto e sempre migliorarsi. Subitanea gioia frusciante nel denaro a parte, decifrare i geroglifici delle stelle mentre ci si lascia riscaldare dalle emozioni è infatti forse l’unica pietanza capace di saziare il languore dei desideri in quel romanzo di formazione che dovrebbe essere la vita quando non piega in tragedia.
La forza di gravità mentre schiacciava a terra i polmoni di Ricky, lasciandolo agonizzante, risucchiava i suoi carnefici decisamente più in basso. Li trascinava fino alle carceri del sub-umano, dove solo rimbomba il bronzo tagliente dei chiavistelli della crudeltà.
Il cane rappresenta insieme il muscolo cardiaco degli affetti delle nostre case e il custode-archetipo della loro inviolabilità. Già l’Odissea racconta peraltro che ai lati della soglia di bronzo del palazzo di Alcinoo erano di guardia due cani “immortali e senza vecchiaia in eterno”; un dono di Efesto che li ha forgiati con mente ingegnosa per il sovrano dei Feaci. Dentro la reggia e nel suo giardino dai frutti perenni dove è sempre primavera, tutto è misura, ordine e magnanimità.
Luce pura che è l’opposto della buia paura in cui cade una casa violata dai ladri nella sua intimità e le persone che la abitano, perchè condannati a non sentirsi più sicuri tra ciò che gli è caro. Insieme a Ricky è spirato un alito della nostra civica serenità, travolta dalla ferocia più becera di chi pensa che violare ogni limite sia oggi permesso.
Eppure, lo stesso Oscar Wilde deve ammettere che al suo dissoluto eroe Dorian Gray non basta nascondere il proprio ritratto in un vecchio e polveroso studio per evitare di fare i conti con se stesso. Perché la giustizia non è solo la statua di Dyke che regge la bilancia nei tribunali scolpita nell’incrollabile pietra del Diritto romano. La giustizia respira in quella osmosi tra le leggi del Codice e Nemesi: costei è la dea figlia di Zeus o forse sua amante che, secondo i greci, aiuta a tenere il mondo in equilibrio distribuendo in punta di piedi limiti e metri.
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