Tra le tante cose che ha fatto Luca Beatrice ce n’è una che conoscono in pochi e che vale la pena ricordare. Era l’anno 2019 e su Arte Network Willy Montini ebbe un’idea originale (che come tutti i programmi interessanti ebbe vita breve): portare in tv un conflittuale «faccia a faccia» sulle correnti pittoriche; il titolo scelto fu Art Duel (con il logo di due pennelli che si incrociavano a mo’ di spada): perfetto per una sfida fra spadaccini esperti di quadri. Da una parte la sciabola di Beatrice, dall’altra il fioretto di Montini, quest’ultimo amico e «collega» di Luca accomunati dalla stessa passione per le tele. Pronti entrambi a lasciare il segno con la punta della lama, smascherando i bluff dei falsari dell'arte che si nutrono di luoghi comuni, pregiudizi e convenzione.
Ogni puntata uno «scontro» irrituale, divisi su una apparente dicotomia: Astrazione vs Figurazione, Concettuale vs Materiale, America vs Europa, ecc. Montini proponeva un’opera e Beatrice rispondeva con un altro capolavoro: il match finiva quasi sempre con la vittoria di Luca che faceva valere al meglio la sua «tavolozza» culturale, ma con Willy che gli teneva testa alla grande forte della sua dimestichezza davanti alle telecamere. Una pacifica, ma furiosa, «scazzottata» a suon di forme e colore, incantevole per i telespettatori che sapevano apprezzarla; purtroppo, i round furono pochi e Montini e Beatrice tornarono a un certo punto nei rispettivi angoli senza più riguadagnare il centro del ring. Come detto, in tv funziona così, a maggior ragione in una piccola emittente alle prese con mille problemi. Oggi avremmo bisogno più che mai di una riedizione di Art Duel (magari su una rete importante e solida), rimpiazzare Beatrice sarebbe difficile, ma non impossibile. I temi da affrontare sarebbero tanti, ispirati pure dall’attualità giornalistica (Beatrice è stato, tra l’altro, un ottimo cronista dalla penna ispirata): ad esempio la stagione crepuscolare che sta vivendo il graffitismo attuale rispetto a quello degli anni d’oro di New York. Possibile oggetto per un faccia a faccia contraddittorio: la «moderna» banalità degli street artist di oggi vs la «vecchia» trasgressione degli writer americani. Beatrice non starebbe certo dalla parte dei primi che ora sono accolti addirittura in quei «cimiteri dell’arte» che sono i musei, ma forse prenderebbe le distanze anche dai secondi che come «musei» avevano solo i muri metropolitani. Chissà come Luca avrebbe messo a confronto (ammesso che ne avesse voglia...) un Keith Haring di oggi con un Harry Greb (il graffitaro che ieri ha sprayzzato su un muro di Roma uno stencil con un improbabile «Musk burattinaio di Trump» con i pupazzi sottomessi di Meloni e Macron). Insomma, la demagogia dei giovani streeter del presente vs l’ardore rivoluzionario degli streeter a stelle e strisce del passato. Beatrice non era un cultore della bomboletta, ma anche lui era (moderatamente) incuriosito dai radiant boys di Haring: mix trasgressivo, estetico e di costume, che opponeva al parrucconismo incipriato del Vecchio Continente la Lady Liberty post punk di un Continente Nuovo. Haring creava il murale Crak is Wack denunciando l’epidemia di droga in una Grande Mela peraltro bacata dal verme dell’Aids. Allora guerre, contagi, ingiustizie, disagio sociale. Esattamente come ai nostri tempi.
Che però i graffitari di oggi sanno rappresentare solo con i colori sbiaditi del politicamente corretto dello scappellamento a sinistra. Magari Beatrice - da «fiero uomo di destra», ma soprattutto da uomo intelligente qual era - ne avrebbe riso. Con la sua tipica smorfia beffarda, tra fastidio e divertimento.
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