Clima, meno burocrazia e contatti con Cina e India: il piano dell'Europa è una corsa contro il tempo

Von der Leyen da Davos replica al tycoon, ma avvisa Bruxelles: "È ora di cambiare marcia"

Clima, meno burocrazia e contatti con Cina e India: il piano dell'Europa è una corsa contro il tempo
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Un oceano di parole separa ancora l'Europa dall'America. Al fare sbrigativo, divisivo e urticante con cui Donald Trump marchierà i primi 100 giorni del suo secondo mandato, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha contrapposto ieri da Davos la solita retorica dei buoni propositi. Destinati a restare tali se il Vecchio continente continuerà ad accumulare ritardi su tutti i fronti e a non aver sufficienti risorse economiche per reggere l'onda d'urto di «una nuova era di dura competizione geo-strategica. Dall'Ia alle tecnologie pulite, dall'Artico al Mar Cinese Meridionale: la gara è aperta».

A parole, Ursula va veloce. Promuove un «cambio di passo» per sostenere la crescita, uno scatto quanto mai necessario poiché le «regole d'ingaggio stanno cambiando»; poi mette un punto esclamativo attorno alla relazione stilata da Mario Draghi sulla competitività, base di discussione a Bruxelles dalla prossima settimana. Anche qui, siamo nei paraggi delle buone intenzioni: l'obiettivo «sarà quello di aumentare la produttività colmando il divario di innovazione». Facile a dirsi, un po' meno a farsi. Anche perché c'è parecchia, forse troppa, carne al fuoco per quel corpaccione europeo insofferente ai cambiamenti. Lei, però, insiste: vuole «un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività»; quindi, «superare le carenze di competenze e di manodopera e ridurre la burocrazia».

Traguardi importanti che richiedono tempo. Tempo che Trump, mai direttamente nominato da von der Leyen nel suo discorso, non pare voler concedere: il «Make America Great Again» non prevede sconti per nessuno. A cominciare dai dazi, punto spinoso sui cui Ursula fa la faccia feroce a metà. Certo condivide «totalmente» l'idea di ritorsioni comunitarie in caso di tariffe punitive Usa, ma poi si dice pronta negoziare col Tycoon. Ricordandogli, a mo' di bigino, che anche l'America si scotterebbe in caso di braccio di ferro commerciale: «Nessun'altra economia al mondo è così integrata» come quelle Ue-Usa, «c'è molto in gioco per entrambe le parti», ricorda nel sottolineare come le aziende europee diano lavoro negli Stati Uniti a 3,5 milioni di americani, mentre un altro milione di posti americani «dipendono direttamente dal commercio con l'Europa».

Che The Donald sia il vero convitato di pietra tra le montagne svizzere è del tutto evidente anche quando davanti all'elogio trumpiano della trivella («Drill, baby, drill») Ursula tesse le lodi dell'accordo di Parigi sul clima, «la sola via per proteggere la natura e stoppare il riscaldamento globale». E il messaggio è rivolto anche a Trump quando annuncia che sarà l'India, «il Paese e la democrazia più grande al mondo», la prima tappa extra-comunitaria della nuova Commissione. Obiettivo, rafforzare le partnership con quelli che ci vogliono stare. «Questo nuovo impegno» commerciale «con i Paesi di tutto il mondo non è solo una necessità economica, ma un messaggio al mondo. È la risposta dell'Europa alla crescente concorrenza globale. Vogliamo una maggiore cooperazione con tutti coloro che sono aperti a questo». Anche da parte della Cina, con cui «è tempo di perseguire una relazione più equilibrata, in uno spirito di equità e reciprocità» anche per celebrare i 50 anni di relazioni diplomatiche. Un'opportunità «per espandere i nostri legami commerciali e di investimento».

Ma il grosso del lavoro andrà fatto fra le mura domestiche. Affrontando salite ardite. A cominciare da quella che porta all'Unione dei mercati dei capitali. Von der Leyen ne vuole una «profonda e liquida» per permettere alle imprese di attingere ai 1.400 miliardi di risparmi degli europei, ma dopo anni di chiacchiere siamo ancora all'anno zero. Secondo pilastro, rendere gli affari più facili anche per evitare che le aziende «frenino gli investimenti in Europa a causa di una burocrazia inutile».

Terzo, l'energia. Sotto il segno del green: «La Russia era uno dei nostri maggiori fornitori di petrolio. Questa energia sembrava a buon mercato, ma ci esponeva al ricatto». Per ora, fiumi di parole. Speriamo non ci portino via.

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