Meloni: vogliono logorarci con la boutade dei tecnici

Lo scenario improbabile: Fdi chiederebbe il voto, Schlein avrebbe il problema Conte, Salvini già scottato da Draghi

Meloni: vogliono logorarci con la boutade dei tecnici
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Evocare per disinnescare. Ma non il tentativo di creare le condizioni per un governo tecnico, scenario a cui Giorgia Meloni non dà per nulla credito per una serie di ragioni, a partire dal fatto che Fratelli d’Italia -118 deputati su 400 e 63 senatori su 200 - non darebbe mai il suo benestare e si presenterebbe a eventuali consultazioni al Quirinale chiedendo di tornare alle urne. Quanto la «campagna»- così la chiamano a Palazzo Chigi- per destabilizzare e logorare il governo. Una manovra che, spiega un ministro di Fdi, «punta all’imbuto di novembre», quando a Bruxelles si accavalleranno i negoziati per la riforma del Patto di stabilità con le scadenze del Pnrr e l’ormai mitologico via libera al Mes (che, è del tutto evidente, Meloni avrebbe fatto bene ad approvare - magari con la condizionalità del via libera parlamentare per accedere al fondo - già molti mesi fa).

Insomma, anche se l’ipotesi di un futuro e imminente esecutivo tecnico a Palazzo Chigi viene derubricata a boutade, la convinzione è che si sia innescata un’azione per alimentare tensioni sull’esecutivo. Partendo dallo spread, guardando a una Nadef che certamente non ha entusiasmato i mercati e im maginando una sponda interna alla maggioranza. Perché, non è un mistero, Matteo Salvini è pronto ad alzare le barricate, quando a novembre il Parlamento tornerà a discutere del via libera al Mes. La Lega si sfilerà e punterà il dito contro Fdi, mentre Meloni prenderà ancora tempo, rinviando l’inevitabile via libera a gennaio, perché ormai Palazzo Chigi ha indissolubilmente legato il «sì» al Mes alla riforma dei nuovi vincoli di bilancio europei.

Di qui, la scelta della premier di aprire la questione con l’affondo di venerdì, a margine del vertice Med9 di Malta. Evocare il governo tecnico per smontarlo. E lasciare intendere che l’unica alternativa all’esecutivo in carica sono le urne. Che non dovrebbero troppo tranquillizzare i mercati preoccupati dell’instabilità, anche visto il momento della Germania (dove Olaf Scholz è alle prese con complicate elezioni amministrative) e della Spagna (con Pedro Sanchez che proverà a trovare una maggioranza che passi l’esame delle Cortes).

Insomma, vista da Palazzo Chigi, la «campagna di destabilizzazione» è sì in corso ma fa poco presa su Brexelles. In particolare sulla Commissione, la cui presidente- Ursula von der Leyen- ambisce alla riconferma. E non avrebbe dunque alcun interesse a perdere il pacchetto cospicuo di voti che gli arriverebbe da Fdi (Meloni pubblicamente non potrebbe che negarlo, ma da premier di un Paese del G7 è del tutto evidente che non potrebbe che sostenere il secondo mandato di una presidente della Commissione Ue che in questo anno l’ha appoggiata senza esitazioni sul fronte migranti, con tanto di missioni congiunte a Tunisi e visita a Lampedusa). Il punto, insomma, è il logoramento.

Mentre lo scenario del governo tecnico prima delle Europee di giugno viene considerata «un’ipotesi dell’irrealtà». Non solo perché Meloni sceglierebbe la via del voto, ma pure perché il Pd di Elly Schlein non reggerebbe il contraccolpo di un M5S pronto a saltargli addosso.

Lo stesso schema vale per Salvini, da tempo in conflitto sotterraneo e permanente con Meloni. La Lega, spiega un ministro Fdi, «si agita con piccoli e quotidiani Papeete», ma «il cane che si è scottato ha paura anche dell’acqua fredda». Insomma, «non ripeterà l’errore già fatto con Mario Draghi».

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