Una volta, una maestra delle elementari mi raccontò che alcuni suoi studenti erano convinti che il pollo nascesse così: puro petto, pure un po' sbiadito, impacchettato nel cellophane. Non c'era un prima in cui quel pollo, in carne e piume, camminava sull'erba e beccava il terreno alla ricerca di qualcosa da mangiare. Per quei bambini il pollo era già un essere inanimato. Della carne sintetica ante litteram, proprio come quella che qualcuno adesso ci vorrebbe rifilare. Quei bimbi, poveri loro, avevano ed hanno perso il contatto con la natura. E passi finché si tratta di un pollo. Ma quando si parla di altri animali il discorso è diverso. Perché la prima cosa che ti insegna la natura è che è pericolosa. E non solo per gli orsi, ma anche perché un'erba o un fungo sbagliato possono mandarti al Creatore.
L'uomo ha sempre cercato di convivere con gli animali e, quando possibile, li ha addomesticati, come insegna Konrad Lorenz. È successo così col cane (che non era certamente da borsetta come quelli di oggi, ma coltivava una sua dignità); col cavallo e gran parte del creato. L'uomo si impegnava a far crescere il maiale felice (e miliardi di suini nati prima dell'invenzione degli allevamenti intensivi ringraziano) per poi chiedergli come tributo, quando fosse arrivato il momento opportuno, la sua carne. C'era rispetto tra l'uomo e l'animale. Per l'uomo e per l'animale. Anche per quelli più pericolosi: il lupo, l'orso, la tigre. Tutte fiere che facevano paura ma che, allo stesso tempo, affascinavano l'uomo tanto da raffigurarle nei propri stemmi di famiglia. Divennero così totem. Ma rimasero animali nella loro forma più pura, nobile e terribile: quella della bestialità. Nota Ortega y Gasset nel suo Discorso sulla caccia: "Si dimentica che tutta la vita dell'animale è modellata nell'attesa incessante di un'aggressione; per esso vivere è un perpetuo allarme davanti a un cacciatore, che a volte non esiste". E non stiamo parlando solamente dell'uomo. Ma anche di tutti gli altri animali che potrebbero attaccarlo.
E così, in questa eterna tensione di pericolo, viveva l'orso che ha ucciso il runner Andrea Papi in Trentino. E che ora rischia di essere abbattuto. Gli animalisti sostengono si tratti di una vendetta. La mamma del ragazzo ha giustamente affermato che la morte dell'orso non le ridarà suo figlio. Vero e sacrosanto. Eppure quello degli orsi è un problema ampio in Trentino. Tutto cominciò negli anni Novanta con il progetto Life ursus. Questi animali stavano scomparendo e così si decise di importarli dalla Slovenia. Il 70% della popolazione di allora era d'accordo. Quasi entusiasta. Oggi le percentuali si sono ribaltate. Nota il sito della Rai: "In quasi 25 anni dal nucleo originario importato dalla Slovenia si è sviluppata una popolazione ben più numerosa di quella prevista, ma quasi tutta discendente da due soli maschi: e proprio la scarsa variabilità genetica sarebbe, secondo gli esperti, alle origini dei comportamenti problematici di molti animali, oltre un centinaio quelli stimati oggi in Trentino". Si tratta di un'ipotesi, sia chiaro. Che però fa riflettere. Ma non solo. Come scrive il Corriere della Sera, il progetto Life ursus prevedeva che l'area in cui dovevano espandersi gli orsi fosse molto più ampia. In realtà questi animali si sono stanziati, essenzialmente, nel solo Trentino occidentale e oggi sono troppi. Troppi per uno spazio così piccolo. E gli incidenti infatti aumentano. Solamente "nel 2021 sono stati liquidati 172mila euro di danni a causa di 301 attacchi". E per JJ4, l'orso che ha ucciso il runner, non era la prima volta. Abbatterla cambierà qualcosa? Sì.
Quest'orso, insieme a Mj5, si è già reso protagonista di attacchi contro l'uomo ed è pertanto pericoloso. Ma più pericolosa è una politica animalista a tutti i costi, che mette gli animali davanti agli uomini. Sempre e comunque. Anche davanti ai morti. Vecchi e, speriamo di no, nuovi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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