Maastricht - Tutti hanno sentito parlare di Maastricht. La città dove 27 anni fa, il 7 febbraio 1992, fu firmato il trattato che pose le basi della moneta unica e della cittadinanza europea. Tra i 12 primi ministri firmatari c'erano Giulio Andreotti, François Mitterrand, Helmut Kohl e un John Major certamente ignaro della futura uscita dal club. Tutti la conoscono per nome ma dall'Italia pochi la visitano: 13mila turisti nel 2018 contro i 360mila che hanno scelto Amsterdam.
Siamo nel cuore dell'Europa, l'Euroregione, un'area di quattro milioni di abitanti che parlano quattro lingue divisa tra Paesi Bassi, Belgio e Germania, e forse proprio per questo è stata scelta per la firma del trattato. Ma raggiungerla non è semplice. Dall'aeroporto di Bruxelles (scelta simbolica, si arriva anche da Eindhoven) occorre prendere tre treni di decrescente modernità ma fortunatamente in orario con coincidenze al cardiopalma. Il passaggio tra le due frontiere belga e olandese è segnato solo da una riga su Google maps, il paesaggio non cambia, nessuno chiede nulla. Cose normali, non lo erano trent'anni fa. Il tragitto non immediato fa venire in mente quello dell'Europa. Fatto di accelerazioni e rallentamenti (l'aereo ha un'ora e mezza di ritardo non segnalato), balzi in avanti e corse per non perdere il treno.
Eppure una volta arrivati la città 120mila abitanti, capitale del Limburgo, la regione più meridionale dei Paesi Bassi dimostra che ne è valsa la pena.
I romani la fondarono costruendo qui l'unico ponte sul fiume Maas (prende il nome da Mosae Trajectum). È la città più antica del Paese primogenitura che si disputa con Nijmegen a dire il vero il centro storico di epoca seicentesca (la regione è agricola, prima si costruiva in legno) è pressoché intatto. Schiere di case tipicamente olandesi, e dove non te l'aspetti spunta un'imponente cattedrale gotica. Alcune sono state trasformate in librerie o alberghi, in un mix tra sacro e profano affascinante e assai pragmatico. Le strade sono a pavé e non è raro vedere un operatore con uno strano aspirapolvere che serve a pulire perfettamente tra un blocco di porfido e l'altro. È una piccola città di provincia che si sente «altra» dal resto dei Paesi Bassi: a maggioranza cattolica, gourmet, godereccia, è orgogliosa dei suoi ritmi rilassati, della sua storia, dei suoi prodotti. La frutta, base della gloria gastronomica locale, il vlaai, dolce come il dialetto che qui si parla. Il formaggio. E il vino, dai vigneti ripiantati nella colline che la circondano 50 anni fa, dopo che erano stati sfrattati dalla piccola era glaciale nel XIV secolo. Passeggiando nel centro ci si imbatte nel più antico mulino funzionante del Paese, in una torrefazione del 1878 che oggi vende caffè con l'e-commerce in tutto il mondo, nella fabbrica di ceramica Sphynx dove Peter Regout installò il primo motore a vapore del Paese trasformata in residenza studentesca. E gli studenti sono tanti: l'università arriva solo nel 1976 ma oggi attira una folta congerie di iscritti, la metà stranieri provenienti da 100 Paesi, anche italiani. Ed è plausibile che dopo la Brexit ne arriveranno ancora di più, in fuga dagli atenei britannici.
I luoghi del trattato sono la specialità di Kitty, guida locale dalla chioma rosso fuoco e dalla guida sportiva. Si parte da Chateau Neercanne, un incantevole castello del Seicento dove i leader firmatari pranzarono in una sala tappezzata di blu, con magnifica vista sulle colline mosse dai vigneti rosseggianti. Il menu, piuttosto sobrio, comprendeva code di scampi fritte, petto di fagiano cicoria e crocchette di patate e charlotte di mandarino. Nella cantina dove presero l'aperitivo il proprietario del tempo non mancò di farli firmare: il documento è ancora esposto nella penombra.
Altra epoca, Brexit e populismi erano lontani. Kitty sul tema è categorica. Come tutti quelli che lavorano nel turismo - e non sono pochi, da queste parti ha un atteggiamento pragmatico: «Siamo in una zona di confine - dice mentre sfreccia sulla strada che ci riporta a Maastricht avevamo a che fare con due confini, andiamo spesso in Germania, il Belgio si intravede anche da qui. Ogni volta dovevamo trafficare con monete diverse, scomodissimo». E la firma ha portato notorietà: «Eravamo nei telegiornali di tutto il mondo, ancora oggi vengono dal Giappone o dall'Australia e chiedono dove fu firmato il trattato. Ha portato turisti».
Il trattato, appunto, fu firmato nel Gouvernementspad, il palazzo della Regione, un edificio anni '80, prismatico, massiccio, affacciato sul fiume. Su richiesta si può visitare il tavolo della firma, il trattato in bacheca e le foto storiche. Gisele, funzionaria e guida improvvisata però ha una visione un po' diversa della storia. «Non amo i populismi ma penso che i politici dovrebbero parlare alla gente che ha perso fede nei partiti locali, capisco perché le persone sono arrabbiate, non sono ascoltate, non ci si prende cura di loro. Sta succedendo ovunque in Europa. Nel 1992 c'era speranza, tutti pensavano che avrebbe funzionato ma non è stato così. Nei prossimi anni non sarei sorpresa se crollasse tutto, se l'unione finisse».
La
previsione, pronunciata proprio davanti al documento che ne ha segnato un passo fondamentale, suona sinistra. Segno che tutto può cambiare rapidamente, e che anche in questa terra di confine favorita dall'unione nulla è scontato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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