Gastone Breccia è uno dei più importanti storici militari d'Italia, insegna all'Università di Pavia. Tra i suoi titoli possiamo ricordare Il demone della battaglia. Alessandro a Isso e il recentissimo Trafalgar. La battaglia navale (entrambi pubblicati da Einaudi). Breccia sarà domani a èStoria per parlare proprio della battaglia di Isso (alle 11 nell'aula magna del Polo universitario Santa Chiara).
Perché la battaglia di Isso è importante?
«È il giorno perfetto di Alessandro, il più grande generale del mondo antico. Sconfigge l'esercito persiano e diventa il padrone dell'Asia. La fusione tra Oriente e Occidente che è il sogno dell'ellenismo nasce lì».
È una svolta militare per l'Occidente? Ha lasciato tracce?
«L'esercito macedone è il primo esercito Occidentale moderno che porta con sé l'idea di armi combinate. Ed è un esercito pensato per sfruttare la coordinazione di corpi diversi. L'esercito persiano è caratterizzato da forze territoriali e mercenari. Nulla di simile».
Nei manuali incontriamo un sacco di date di battaglie. Quando una battaglia cambia davvero la Storia?
«Noi siamo figli di un'impostazione ottocentesca della narrazione storica che cerca sempre il giorno decisivo. In realtà bisogna stare attenti, perché le battaglie a volte erano già vinte o perse in partenza. Trafalgar ad esempio è una di queste. Ci sono battaglie che cambiano la Storia. Sono quelle in cui almeno una delle due parti getta all'interno dello scontro tutte le sue capacità morali e materiali. E quindi lo scontro è decisivo. Non sono moltissime, in realtà».
Facciamo un esempio?
«Nella contemporaneità sono poche e non durante le guerre mondiali. Dobbiamo risalire indietro nel tempo... Ecco, la battaglia di Zama certamente. Annibale fu il primo ad ammetterlo e a dire al senato cartaginese che doveva trattare la pace con Roma. Se devo cercare un esempio nella storia italiana dico la battaglia di Benevento del 1266, in cui viene sconfitto Manfredi e finiscono le pretese sveve sulla penisola. Se ne parla poco, ma è decisiva».
Cosa fa sì che una battaglia venga ricordata? Gli italiani perdono ad Adua. Potrebbe essere una sconfitta come un'altra, ma Mussolini la ricordava ancora quarant'anni dopo e gli italiani con lui...
«Avevo pensato di fare un corso monografico su come la memoria collettiva trasformi l'importanza delle battaglie. Dipende dall'uso che un regime fa di una vittoria o di una sconfitta. Il caso di Adua è un esempio perfetto di quando una sconfitta viene trasformata in un motivo di riscatto. Ma in generale una battaglia deve rispondere agli intenti politici di una comunità negli anni successivi. Stalingrado è stata una battaglia importante, ma non così importante. Eppure è stata trasformata in un mito fondante. Può essere usata così anche una sconfitta. La battaglia di Kosovo Polje del 1389 è stata tremenda per i serbi, travolti dagli Ottomani. Ma è diventata un punto di riferimento fondamentale per la loro identità».
Le battaglie sono l'esito di un processo militare e tecnologico. Concentrarsi sulla data e sullo scontro ci fa appiattire questo prima?
«Dipende da come lo si fa. Se studiamo Lepanto per bene scopriamo che quattro galeazze veneziane scompigliano tutta la flotta ottomana. La battaglia ci rivela che l'artiglieria imbarcata da quel momento cambia tutto. Più difficile è delineare un vantaggio strategico e non tecnologico. A Salamina le trireme persiane e ateniesi non sono molto diverse. Gli ateniesi in quel caso avevano una superiorità tecnica e nautica, non tecnologica».
Si dice spesso che i generali sono attrezzati per vincere l'ultima guerra avvenuta non quella che verrà. Allora ha senso strategico studiare la storia militare?
«Io insegno Storia della guerra all'Accademia di Modena (ride, ndr)... E ne parlavo con gli allievi recentemente. Sono i generali vincitori che di norma restano seduti sulla guerra precedente. I tedeschi sconfitti nella Prima guerra mondiale hanno inventato il Blitzkrieg, la guerra lampo. I vincitori si sono crogiolati nell'idea delle fortificazioni e delle trincee».
Una battaglia italiana che non viene ricordata?
«La Battaglia del solstizio nel giugno del 1918. La guerra l'abbiamo vinta davvero lì, coordinando un milione di soldati. Una gloria nazionale di cui non si parla mai».
Una disfatta?
«Più che una disfatta, un'occasione persa. Nella Seconda guerra mondiale, se l'Italia avesse colpito subito Malta avrebbe potuto condurre in modo molto diverso la guerra in Nord Africa».
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