Esistono dei testi, per un autore, che rimangono incompiuti, nella sua immaginazione, quasi per tutta la vita, tanto che sente il bisogno continuo di rivederli, riscriverli, riadattarli, moltiplicandone le valenze e i significati.
È accaduto anche a Filippo Timi, il cui «Amleto 1» andò in scena nel 2010, al Franco Parenti dopo che l'attore aveva avuto uno straordinario successo, l'anno precedente, col film di Bellocchio: «Vincere», dove interpretava la figura del giovane Mussolini tra passione politica e passione amorosa. Timi propose la sua rivisitazione di «Amleto» ad Andrée Ruth Shammah che non solo lo produsse, ma che gli offrì anche uno tra i più bei camerini che rimase «suo» anche quando non recitava al Parenti. Andrée aveva intuìto di trovarsi dinanzi a qualcosa di insolito, a una riscrittura che faceva pensare a Carmelo Bene e, persino, a Testori, per la sua forza eversiva. Per tre settimane, il teatro fu preso d'assalto, era impossibile trovare un biglietto. Quattordici anni dopo, Filippo Timi è tornato sul luogo del delitto, riproponendo un secondo Amleto che va in scena, sempre al Franco Parenti, da oggi al 31 dicembre, con una replica speciale, per la notte di Capodanno. Cosa c'è di nuovo in questa riedizione ? Tutto e nulla, nel senso che le provocazioni sono rimaste, anzi si sono moltiplicate, le interpreti che, nel 2010, non conosceva nessuno, oggi sono tra le più richieste, per la loro bravura, dal cinema e dal teatro italiano, si tratta di Lucia Mascino, Marina Rocca, Elena Lietti, alle quali si è aggiunto Gabriele Brunelli, nella parte del giovane Amleto, assente nella prima edizione, l'ambientazione circense è diventata una sorta di gabbia, dalla quale è impossibile sfuggire. Il testo ha subito delle varianti, la parola è diventata sempre più azione fisica, dato che Timi si diverte a rovesciare i personaggi e i loro sentimenti, fino a trasformare, il suo Amleto, in un personaggio inappetente, amante dell'ozio, che non ha più la voglia di amare Ofelia e persino la madre con cui non ha più un rapporto edipico, ma generazionale. Egli è convinto che la tragedia di Shakespeare sia sempre contemporanea per il solo fatto di continuare a porsi delle domande.
L'essere o non essere, è la domanda centrale, anche se, per Timi, il non essere, fa parte dell'essere, come dire che la morte fa parte della vita. In questa sua riflessione, non c'è nulla di filosofico, tutto sa di esistenziale, tanto da giustificare gli elementi comici che caratterizzano l'intera rappresentazione, fino a contaminare tragedia e commedia in un gioco delle parti. Secondo lui, Amleto è un po' tragedia e un po' farsa, tanto che la disperazione convive con la risata, in un gioco ambivalente che non permette delle scelte definitive.
C'è da dire che «Amleto» è il suo primo testo, quello che gli aveva permesso di accostarsi al teatro, dopo l'esperienza cinematografica, di affrontare il pubblico che lui ama sempre coinvolgere, non solo col ricorso alla comicità, ma anche col suo modo di improvvisare, sera per sera, perché, il suo Amleto è pieno di energia, motivo per cui, riesce a empatizzare col pubblico che non nasconde il suo divertimento, trovandosi dinanzi a una operazione spiazzante, ricca di vitalità, di frivolezza e di follia, quella che Timi consuma sul palcoscenico.
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