"Nella mia storia la gente riconosce la propria identità"

La vincitrice del premio Campiello con "Alma": "Racconto come si fanno i conti con la memoria"

"Nella mia storia la gente riconosce la propria identità"
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Ha conquistato oltre un terzo dei 300 lettori anonimi il romanzo Alma (Feltrinelli) della friulana Federica Manzon Pordenone, classe 1981 - alla 61^ edizione del premio Campiello. Al secondo posto con 78 voti il favorito, Antonio Franchini, e il suo Il fuoco che ti porti dentro (Marsilio), poi La casa del mago (Ponte alle Grazie) di Emanuele Trevi (66 voti), Locus Desperatus (Einaudi) di Michele Mari (33 voti) e infine Dilaga ovunque (Laterza) di Vanni Santoni (6 voti).

Federica Manzon, al suo quinto romanzo, è una figura di peso dell'editoria italiana: direttore editoriale Guanda, già editor Mondadori e responsabile della didattica alla Holden di Torino, era già entrata in cinquina al Campiello nel 2011 con Di fama e di sventura (Mondadori). Questo romanzo è potente e ben costruito, con un grado di complessità che consente a più generazioni di lettori di accedere a un pezzo del recente passato della storia d'Europa, la caduta della ex Iugoslavia, intrecciato con un presente, quello della protagonista Alma, appesantito dai ricordi familiari: un padre misterioso, «lo slavo», e Vili, un amore di gioventù carnale e disperato con cui fare i conti, entrambi sempre in movimento, diluiti e rinvigoriti nel confine di Trieste con l'Altro.

Sorpresa?

«Direi di sì. Questa estate ho vissuto il lungo tour con gli altri autori senza pensare al premio: ci siamo guardati le Olimpiadi tutti insieme e ci siamo divertiti. Il mio favorito? A seconda dei momenti cambiava, anche se stimo tantissimo Michele Mari, autore che ho letto da ragazzina: mi sembrava impossibile che non dovesse vincerlo lui».

Che cosa ha conquistato la giuria dei lettori?

«Direi più che la giuria, i lettori in generale, forse qualcosa che ho compreso durante il tour della cinquina: in tutta Italia, dalla Puglia al Lazio, non solo in zone limitrofe a quelle che racconto, lettori molto distanti geograficamente hanno visto nella storia qualcosa che li riguarda e che ha a che fare con la loro identità. Una ragazza in Calabria mi ha detto Per me è stato magnifico perché Alma mi ha fatto vedere la libertà che potrei avere, ma che rispetto, alle mie radici, al luogo cui sono ancorata, non avevo mai pensato di avere. Questo confine dunque ha qualcosa di familiare ed è un punto di unione anche lontano da Trieste. Anche per me che scrivevo, in fondo, Alma era mettermi nei panni degli altri e conoscere un pezzo di mondo in più».

Da dove nasce l'idea di questo libro?

«Volevo raccontare quello che per me rappresentava Trieste, affaccio privilegiato su questioni che sono la nostra Europa, chi siamo, a quali luoghi apparteniamo. Ho sempre vissuto con disagio questa storia che siamo una nazione, una lingua, una sola identità: ognuno di noi è fatto di tante parti diverse che non sempre stanno insieme felicemente, ma stanno insieme, anche tirando di qua e di là. Questa inquietudine triste, avendo in mezzo quel confine così ingombrante, era per me la metafora di qualcosa che sebbene sia piccolo, individuale, serve a capire chi siamo».

Il libro è pieno di salti avanti e indietro nella storia, ma è anche una turbolenta storia d'amore.

«Volevo raccontare come una persona fa i conti con la memoria: non sei mai sicuro se sia un peso alla caviglia che ti tira giù o un materiale prezioso. E la memoria passa sempre attraverso la geografia: nei tre giorni che Alma passa a Trieste prende coraggio e deve accettare l'eredità del padre anche attraverso le strade e i luoghi. L'amore di Alma per Vili è struggente e continuo e però lei cova una domanda: L'avrei amato lo stesso se lui non fosse stato l'esule da Belgrado?. Forse no, perché noi amiamo sempre anche i fantasmi che immaginiamo dietro le persone».

Le sue fonti per comprendere i codici culturali balcanici?

«Ho viaggiato molto in quei territori, incontrato persone e ascoltato i loro racconti, ho visto film e documentari a volte lunghi ore di cui non capivo nemmeno la lingua.

E poi consiglio di leggere Elvira Mujcic, originaria della Bosnia, un autore antico Danilo Ki, e uno più contemporaneo, Robert Perii, e il suo I prodigi della città di N., una grande saga sulla Jugoslavia dopo la caduta».

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