Nessuno cucina le saghe (siciliane) come i siciliani

Nessuno cucina le saghe (siciliane) come i siciliani
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«Qui un tempo era tutto una saga» si potrebbe dire parafrasando un luogo comune. Con il «qui» si intende la Sicilia. Con «saga» si intende il nuovo fenomeno editoriale: la saga storica, possibilmente al femminile, preferibilmente al passato, ambientata nell'isola esotica per chi è abituato alle brume settentrionali. C'era una volta Tomasi di Lampedusa e la saga del Gattopardo. Le saghe di oggi hanno poche pretese letterarie ma hanno imparato la lezione. Prima venne la trapanese Stefania Auci con la saga dei Florio edita da Nord. Un successo abilmente costruito a partire da una buona storia ambientata nella Palermo ottocentesca. Titoli dei capitoli che ammiccano agli stereotipi sulla Sicilia, proverbi isolani a cucire la narrazione. Niente è lasciato al caso. Grande lavoro su distribuzione e librai, vendita dei diritti all'estero ancora prima della pubblicazione, battage pubblicitario: I leoni di Sicilia (2019) andò dritto in classifica. È invece un bestseller da passaparola il recente Come l'arancio amaro (Bompiani) della palermitana Milena Palminteri. Non c'è stato un lancio particolare per questo romanzo che racconta la saga di tre donne siciliane tra gli anni Venti e gli anni Sessanta. Eppure è andato dritto in classifica, dove ha toccato anche la prima posizione. È una storia di emancipazione femminile, molto ben documentata, del resto l'autrice è un'archivista. Naturalmente le vicende si intrecciano ai grandi avvenimenti storici, a partire dal fascismo. Un'altra storia di emancipazione, un'altra saga familiare, un'altra Sicilia, un altro XX secolo: ed ecco Il cognome delle donne (Feltrinelli) della esordiente palermitana Aurora Tamigio. È uscito all'inizio di luglio e da pochi giorni ha vinto il Premio Bancarella. Predestinata al bestseller? Vedremo.

Nel frattempo registriamo i paragoni, a dire il vero imbarazzanti, con Cent'anni di solitudine di Gabriel García Márquez e un comunicato stampa in cui si ricorda un altro vincitore del Bancarella, un certo Boris Pasternak. Tanto per non esagerare...

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