«Era la metà degli anni Sessanta e noi ragazzini giocavamo a calcio in via Volturno proprio davanti al 34 perchè lì il marciapiede era più ampio. In quegli anni i bambini vivevano le strade come fossero cortili, a una certa ora tutti giù a giocare. Quelli del civico 34, Paolo Berlusconi e i fratelli Valli, Andrea e Maurizio, sfidavano noi del civico 37: tre contro tre. Con noi c'erano Silvio, figlio della panettiera d'angolo e il cugino Attilio, l'«oriundo» di via Pola, lo chiamavamo così perché era l'unico a non abitare in via Volturno». Il protagonista del racconto è Ferdinando Maffioli, giornalista de il Giornale in pensione. Per le giravolte della vita simili a quelle calcistiche, il cammino di Ferdinando incrocerà da grande quello dell'amico di infanzia, Paolo. Il primo cronista, il secondo editore, entrambi nello stesso palazzo di via Gaetano Negri, al Giornale.
«Mi sono fatto riconoscere dopo svariati anni di impegno in redazione, quando, eletto nel Cdr (che è il sindacato dei giornalisti) abbiamo incontrato l'editore: era il 1984» ha ricordato Maffioli.
Silvio giocava a pallone in via Volturno? «No, lui era grande. Tredici anni in più, rispetto al fratello Paolo, si facevano sentire. Guidava una Mercedes bianca, pareva già in carriera. Una volta però scese in strada a sgridarmi, avevo sbagliato tiro e il pallone finì per colpire in pieno il papà, Luigi Berlusconi, mentre stava rientrando. Non gli feci male ma mi sentii mortificato e Silvio aveva avuto ragione a riprendermi. Poi ammiravamo la sorella, Maria Antonietta, che aveva qualche anno in più, era una ragazza dolcissima. Anche lei rischiava sempre di prendersi qualche pallonata e camminava rasente il muro quando usciva con l'amica Anna».
La strada aperta ai giochi dei bambini è rimasta un tratto milanese fino agli anni 70, «accanto al Volturno 34 c'era un edificio bombardato durante la guerra, lo avevano spianato, e lo spiazzo veniva utilizzato come parcheggio dei rimorchi. Uno di questi, abbandonato, si trasformava nel nostro castello e noi giocavamo alle bande, sopra stava quella di Paolo, sotto la nostra. Il castello lo si conquistava a colpi di bussolotti sparati con la cerbottana. Si faceva tutto in casa, usavamo i tubi dei lampadari per realizzare le canne e i proiettili erano fogliettini di carta arrotolati. Chi veniva colpito usciva di scena». A intralciare giochi e partite era il mercato, bisettimanale, che «il sabato restava tutto il giorno, il martedì solo mezza giornata.
I furgoni si sistemavano proprio davanti al 34 perchè c'era più spazio, qualche lustro prima vi venivano legati i cavalli che trasportavano i bancali. Per noi era un dispiacere non poter giocare, abbiamo sempre considerato quell'angolo davanti al 34 il nostro campo da calcetto». Il civico 34, ossia la prima casa di Silvio Berlusconi.
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