Un noir fra i boschi dell'Albania

Speranza, disperazione, polemiche, sospetti, accoglienza, violenza, affetti, tradizioni: molto si era rimescolato, in quei giorni indimenticabili, a cui erano seguiti mesi e anni in cui passato e futuro avevano continuato a intrecciarsi

Un noir fra i boschi dell'Albania
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È l'agosto del 2021. Il mondo ha appena rimesso gli occhi fuori dalle porte delle case (e liberato le bocche dalle mascherine) e, chi può, ne ha approfittato per godersi il mare e la montagna che nei mesi precedenti erano proibite, come i viaggi, i contatti, le cene... Però Milano è sempre la solita Milano di agosto: afosa, soffocante e deserta. L'ispettore Dario Miranda - ma tutti lo chiamano solo «Miranda» - ha appena litigato con Chiara Baroni, magistrato affascinante con cui ha un rapporto tormentato (tormentato perché lo è lui, Miranda, che fatica a cedere all'amore che prova, e allora si inventa qualsiasi modo per farsi mandare a quel paese) quando riceve una telefonata: il cadavere di una donna è stato ritrovato all'altezza di un mulino lungo il fiume Lambro. Si scopre presto che la vittima è di origine albanese, che la sua morte è avvenuta non lontano dal greto e che non è isolata: un altro ragazzo è stato ucciso e in bocca ha, appallottolata, una fotografia che lo ritrae insieme alla donna. Anche lui è albanese.

Et voilà, il Ferragosto di Miranda è assicurato: l'ispettore creato da Daniele Bresciani (giornalista e romanziere, nonché coautore della autobiografia di Gino Paoli, Cosa farò da grande. I miei primi 90 anni) e già protagonista di Anime trasparenti e Testimone la notte, questa volta si ritrova alle prese con quello che sembra un serial killer spietato e sadico che ha preso di mira un gruppo di persone legate, in vario modo, all'Albania. Guarda caso (ma si sa, nei noir le coincidenze di solito non sono tali...) quella Albania da cui, esattamente trenta anni prima, nell'agosto del 1991, erano partite migliaia e migliaia di persone in fuga dalla dittatura comunista e dalla sua eredità di orrore, povertà e paura per arrivare, a bordo della nave Vlora stipata all'inverosimile, sulle coste dirimpettaie, in quel di Bari.

Speranza, disperazione, polemiche, sospetti, accoglienza, violenza, affetti, tradizioni: molto si era rimescolato, in quei giorni indimenticabili, a cui erano seguiti mesi e anni in cui passato e futuro avevano continuato a intrecciarsi. Ed è esattamente quello che accade anche nel nuovo romanzo di Bresciani, La lince sa aspettare (Bompiani, pagg. 558, euro 22). L'ispettore Miranda, «una specie di gigante», e la agente Andrea Brunner (dalla fascinosa chioma rossa) si rendono conto presto che i nodi del caso, che si arricchisce man mano di altre vittime, si riattorcigliano alla stessa velocità con cui sembrano essersi sciolti: l'indagine è molto più complicata del previsto, le piste sono sotto i loro occhi eppure fuorvianti, i testimoni (albanesi o legati alla comunità) talvolta danno la sensazione di nascondere qualcosa. In parallelo, Bresciani ci porta anche sull'altra sponda dell'Adriatico, dove tutto, di questa storia, è cominciato.

Ed è una storia che parla di dittatura, di Enver Hoxha e dei suoi terrificanti servizi segreti, di potere, di torture, di famiglie distrutte, di silenzi, di soldi nascosti. Ma parla anche di amore, e della forza che la natura ha di salvarci. Come una lince che aspetta nel bosco.

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