Non è un buon "Approdo" per Gad Lerner

Non è un buon "Approdo" per Gad Lerner

Dall'aldilà dovrebbero chiedere i danni. Bacchelli, Carlo Bo, Cecchi, Longhi, Ungaretti. Non gente comune, ma la crème degli intellettuali italiani attivi negli anni '60. Basti consultare le Teche Rai: L'approdo fu un programma di lettere e arti in un momento storico in cui la Rai faceva cultura e istruzione ignorando giornalismo scandalistico o inchieste a basso profilo. Tra i materiali a disposizione sul sito, interviste a Truman Capote e Gadda, Le Courbusier e Aalto, Vittorini e Duchamp. Ecco, quella era la televisione di Stato, d'accordo monopolista ma di altissimo profilo educativo e didattico.

Della storica testata, che ricorderanno i più anziani, Gad Lerner si è impossessato per il suo nuovo programma in cinque puntate su Raitre. Nonostante l'orario, il lunedì dopo le 23, buono lo share almeno della prima, annunciata come un reportage di resistenza anti Lega e dunque successo annunciato per i pasdaran più irrigiditi sull'ideologia.

Davanti a un barcone-baraccone, che in quanto a cattivo gusto supera persino quello esposto alla Biennale di Venezia, Lerner dialoga con due ospiti di sicuro livello cattedratico per un'ora circa di tautologie impressionanti, intervallate da filmati di repertorio sulla Lega d'antant, dimenticandosi però di dire che quello fondato da Umberto Bossi è al momento il partito più longevo e quindi necessariamente trasformatosi più volte nella storia recente della Repubblica.

«L'arte della tv» parla di estetica del piccolo schermo, non di politica. E l'estetica, più ancora della politica, ha un tempo, che non è il tempo delle giacche sformate a spalla scesa, di calzoni che cadono male sulle scarpe (attenzione, si confà che dopo le 18 l'uomo elegante indossi scarpa nera, non marrone né scamosciata), di papillon troppo grandi e, massimo della tristezza, di calze grigie di bassa qualità. Un outfit, si direbbe oggi, studiato apposta per respingere e sfiduciare, è l'abbigliamento del si stava meglio quando si stava peggio, della nostalgia di non si sa cosa, magari degli anni di piombo. Per non dire dell'eloquio: il professore Luciano Canfora sembra studiato per fare sentire gli altri dei poveri deficienti, così dicitore di ampie perifrastiche che, ridotte all'essenziale, ripetono sempre la stessa parola, «fascismo». Eppure uno storico dovrebbe conoscere la differenza tra totalitarismo e democrazia, dittatura e libertà di scelta (che certo non gli piace), che a confondere i ragazzi ci pensano già pessimi insegnanti. Marco Tarchi, un tempo ideologo della destra, si accomoda nelle retrovie: persino chi la pensa in maniera diversa risulta funzionale al taglio del conduttore.

E Lerner? Divertenti i siparietti di trent'anni fa, parlava uguale ma sembrava un'altra persona. D'altra parte si invecchia.

Zero empatia, come sempre, anche se la tv (quel tipo di tv) la sa fare. A differenza dei proselitismi: quelli non gli riescono, troppo snob, antipatico a tutti che quasi quasi mi dispiace. Come tutti i suoi programmi, ha il suo pubblico e quello gli resta.

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