Li aveva messi in catene, con una modalità atroce chissà da quanto tempo. I due asinelli vivevano, come incaprettati e la scena che hanno visto gli uomini della Forestale e dell'USL di Martina Franca (Taranto), in azione congiunta, era orribile. I due poveri asini presentavano le zampe anteriori e posteriori impastoiate con catene collegate alla testa, che gli impedivano la deambulazione e il riposo a terra. I ferri erano penetrati nella carne viva lacerandola e provocando ferite infette infestate da un nugolo di parassiti. I due sfortunati equidi mostravano gravi sofferenze, sbattendo il collo ed emettendo versi acuti, ogni volta che dovevano muoversi di pochi centimetri.
Ci sono volute numerose ore e diverse persone per liberare gli animali da quegli orribili ceppi e i due asini sono stati subito sequestrati al proprietario che è stato deferito all'Autorità Giudiziaria, ai sensi dell'articolo 544 ter del Codice Penale (Maltrattamento di animali), in quanto senza alcuna necessità cagionava lesioni agli animali, sottoponendoli a sevizie e comportamenti inammissibili per le loro caratteristiche etologiche. Oltre tutto la struttura in cui erano «ospitati» era priva di autorizzazione alla detenzione degli animali che risultavano pure privi di microchip. L'uomo, per il momento, si è visto comminare una sanzione di 10.000 euro ma l'iter processuale è ancora lungo e dovranno essere valutate dalla magistratura le pene per la crudeltà inflitta ai due asinelli, peraltro priva apparentemente di alcuna motivazione, qualora ne possa esistere un barlume. Ora i due asinelli sono curati e coccolati presso un allevamento che li ha presi in carico e li ospita per quello che sono, ovvero esseri senzienti, in grado di percepire emozioni e dolore tanto quanto gli altri animali, pur essendo umili asini. L'asino, storicamente non è stato ben trattato dall'uomo. Se uno è una via d'incrocio tra uno ignorante e uno stupidotto è «un somaro», ovvero un asino. Solo pochi decenni fa, se un bambino a scuola non aveva studiato la lezione o aveva fatto qualche stupidaggine, finiva dietro la lavagna con il cappello dalle orecchie d'asino. Insomma, era anche lui un somaro. Nel paradosso di Buridano, posto nella condizione di scegliere fra due mucchi di fieno identici e simmetrici, l'asino non osa scegliere e muore. Se qualcuno la racconta grossa, vede gli asini volare. E così via. Ma se ci si sofferma un attimo, come fa lui con i suoi gesti lenti che sembrano irridere il tempo, è stato d'imprescindibile utilità per l'uomo e, a differenza del suo parente nobile, il cavallo, nelle condizioni e nei territori più difficili, più solitari, più impervi, più ostili. Ha portato sulla sua groppa di tutto e di più, quasi sempre caricato con pesi che oltrepassavano i limiti del mero buon senso. E lui andava, macinava metri su metri, chilometri su chilometri, con fardelli enormi, senza protestare e accontentandosi di una manciata di biada e di rami spinosi. È proprio lui che nel presepe, assieme al bue, riscalda Gesù Bambino e lo guarda stabilendo una condivisione con la natività.
L'asino non ha l'aspetto regale ed elegante del cavallo ma ha affascinato le sollecitazioni di pensiero dei filosofi, degli studiosi e dei letterati. Montaigne attribuisce all'asino il titolo di animale contemplativo, ne sottolinea la natura riflessiva e meditabonda, elevandolo al rango di filosofo. Giotto ne fa la figura centrale della sua Fuga in Egitto (Cappella degli Scrovegni) e Duccio, per il Duomo di Siena, lo mette in primo piano mentre trasporta Gesù che entra in Gerusalemme.
Ma per noi, l'asino più famoso è quello di Davanti San Guido, quando il Carducci lo immortala in quelle eterne parole d'amore e di contemplazione: «Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo, Rosso e turchino, non si scomodò: Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo, E a brucar serio e lento seguitò».
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