"Non ho lasciato la Costa" Il comandante ai domiciliari

Ecco la versione dell’ufficiale. Il Gip non convalida il fermo, scontro col pm. Intanto spunta il giallo di una donna che avrebbe distratto Schettino in cabina

"Non ho lasciato la Costa" Il comandante ai domiciliari

Si presenta a testa alta e torna a casa a capo chino. S'è salvato un’altra volta mentre altri tre ufficiali di coperta finiscono nei guai. Indagati. Niente più cella per il Nostromo dal cuore annacquato. Domiciliari a Sorrento al comandante con troppe macchie e tanta paura che, comunque, per il gip «ha agito con imprudenza superando la velocità di 15 nodi in prossimità di ostacoli», rendendo complicati i soccorsi e «abbandonando 300 persone sul natante dopo aver causato il naufragio». Schettino non concede una lacrima. Si dà del coglione e unico responsabile. Ammette di essersi sbagliato, di non aver calcolato bene i tempi, di aver fatto «l'inchino». E giurando che non s'è trattato di una goliardata da bullo dei mari, stavolta non si fa prendere dal panico.
Tiene la barra diritta con gli inquirenti e la fortuna lo bacia di nuovo non sussistendo più, a parere del Gip (contestato dal pm: «Decisione che non capisco»), pericolo di fuga, reiterazione del reato, inquinamento delle prove. La sua versione? Eccola, parola per parola, per come al Giornale la riassumono gli inquirenti.
«Non mi drogo». e spunta una donna. Si comincia col test. «Certo, acconsento al prelievo dei capelli e delle urine. Fate tutto quello che volete tanto io non fumo, non bevo, e mica mi drogo». I carabinieri temono invece che all'impatto con lo scoglio Schettino fosse ubriaco (come racconta un testimone francese) oppure flashato dalla cocaina. Ed è giallo su una presenza femminile, un'affascinante presenza, che lo avrebbe distratto in cabina di comando. Voci, indiscrezioni piccanti. Da riscontrare. La voce registrata nel colloquio con la capitaneria qualche dubbio lo insinua sulla situazione «stupefacente». Lui nega.
La rotta fatta a Civitavecchia. «Allora. Per quanto riguarda la situazione dell'urto va detto che la rotta della nave Concordia è stata stabilita alla partenza dal porto di Civitavecchia dall'ufficiale di rotta. Che mi aveva avvertito. Occhio che ci sono scogli là, ma io quel tragitto lo avevo fatto altre quattro o cinque volte, mi sentivo sicuro». L'autostrada marina che dal porto laziale porta sopra lo scoglio «era tracciata per dare un saluto al Giglio», ovvero all'ex comandante Mario Palombo «che credevo nell'isola». E che invece non c'era come Schettino apprende al telefono con il commodoro, subito prima del crash.
«Com'e' il fondale qua?». «Ci sei?». «No sono a Grosseto». «Vabbè, allora salutiamo la mamma del maitre». «Ok». «Senti com'è il fondale qua?». «Tieniti oltre i 150 metri e vai sicuro». Cade la linea. Il comandante sbanda. «Non ricordo esattamente quello che è successo, la scansione dei tempi». Il passaggio nel budello di mare lo rammenta bene: «Ero in sala comando, timonava ovviamente il pilota, ero al suo fianco, davo le indicazioni».
«Ho provato a schivare lo scoglio». E lo scoglio? «C'era un punto in cui dovevo virare a destra per evitare gli spuntoni ma davvero non ho fatto in tempo, la nave si è avvicinata troppo, e quando mi sono accorto che il mare per la manovra era poco, ho provato a schivare ma non ce l'ho fatta. Lo scoglio non l'avevo visto». Il gip gli fa presente che più di un testimone a verbale giura d'averlo visto distratto, assente, paralizzato. E le telefonate con la Costa? «Non ricordo bene se sono stato io a chiamare loro o loro me. E' inutile che insistiate, controllate i tabulati del telefono e le registrazioni in sala. La verità è facile da riscontrare».
«Non mi sono accorto del tempo». Sarà. Ma perché ha aspettato un'ora e mezzo prima di dare il via libero all'abbandono della nave? «Quanto è passato? Un'ora e mezza? Così tanto? Mi creda, davvero mi creda, io davvero non mi sono accorto del tempo che passava». E aggiunge. «A un certo punto, quando ho constatato la situazione, ho dato l'allarme generale». Che nessuno avrebbe sentito, stando a quel che riferiscono i testimoni che lo collocano «perennemente al telefono e mai al microfono».
«Mayday con l'acqua in sala macchine». Continua: «Dopo aver dato il mayday ho avuto la possibilità di capire la reale entità del danno attraverso l'interfono collegato con la sala macchine che era in grande difficoltà con i compartimenti in gran parte allagati. Solo a quel punto ho capito che la nave non era più recuperabile». E la manovra eroica? Checché ne dicano i colleghi e i sospetti degli addetti ai lavori, lui giura d'averla fatta nel migliore dei modi e di aver evitato una catastrofe. «La nave non la governavo più, con l'abbrivio speravo di portarla sulla secca e così è stato, dopodiché ho buttato le ancore e la nave si è messa di traverso, vicino gli scogli».
«Sono scivolato e non sono fuggito». Ecco la domanda delle domande. Perché diavolo ha abbandonato la nave? Perché ha mollato tutto e tutti? «Io non ho tentato la fuga, mai mi sarei sognato di abbandonare la nave con la gente a bordo». E allora che cosa è successo? «A un certo punto in tutta quella confusione mi sono ritrovato sulla poppa della nave, stavo provando a sganciare una scialuppa che si era incastrata, il verricello non funzionava, così ho tentato l'impossibile, a forzare le funi». A tagliare la corda, in tutti i sensi. «No, no. Sono scivolato fortuitamente sul tetto della scialuppa, e la scialuppa è rimasta appennellata». Impigliata. Sospesa. Bloccata. Solo a quel punto ha segato la fune, lasciando quell'immagine di bucaniere del Tirreno negli occhi della soubrette Francesca Rettondini, che non ci ha pensato due volte a sputtanarlo in tv.
«Non potevo risalire». Dopodichè? «Sono finito effettivamente sugli scogli e in quelle condizioni come facevo a risalire? La dimostrazione che non volevo scappare è che sono rimasto a coordinare i soccorsi». Il gip insiste. Torniamo alla telefonata in cui si parla di blackout a bordo. «Intendevo dire che era andata via la corrente e che non potevo più governare la nave. Al primo impatto c'era Ciro (Bosio, l'ufficiale, ndr) con me, al timoniere ho detto di virare ma è successo in ritardo». Morale? «Signor giudice, ho fatto un grandissimo errore e me ne prendo la responsabilità. Altre 2 o 3 volte ho fatto l'inchino al Giglio senza problemi. Io non avevo il giubbotto di salvataggio perché la mia vita non era la più importante. Dovevo pensare alla vita degli altri».

Diceva Joseph Conrad che il mare non è mai stato amico dell’uomo. Tutt'al più è stato complice della sua irrequietezza. E Schettino, maltrattato dai fantasmi e dal mare che ha oltraggiato, nel ritorno a casa finalmente è inquieto pure lui.

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