Non è l'ansia la ricetta ambientalista

Davanti al mondo che cambia velocemente è necessario avere i nervi saldi e lavorare velocemente alla costruzione di un futuro che sia sostenibile senza danneggiare la produttività e il benessere economico

CC0 Creative Commons
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La nostra terra è fragile. E noi anche. Perché abbiamo capito che sulle mura della nostra gigantesca abitazione stanno iniziando lentamente ad aprirsi delle crepe. Pensare che sia tutta colpa dell'uomo è un peccato di egocentrismo nel quale non bisogna precipitare, ma rinunciare a intervenire su quello che è attorno a noi, sotto ai nostri piedi e sopra la nostra testa sarebbe un atto di incoscienza verso la Terra e le generazioni future che non possiamo permetterci.

Davanti al mondo che cambia velocemente è necessario avere i nervi saldi e lavorare velocemente alla costruzione di un futuro che sia sostenibile senza danneggiare la produttività e il benessere economico. Al contrario, specialmente tra le generazioni più giovani, si diffonde sempre più un disagio emotivo che ha generato un neologismo: l'ecoansia. Cediamo la parola - è il caso di dirlo - al vocabolario Treccani che definisce così la «patologia»: «La profonda sensazione di disagio e di paura che si prova al pensiero ricorrente di possibili disastri legati al riscaldamento globale e ai suoi effetti ambientali».

Ma nel problema si racchiude un altro problema: perché l'ansia spaventa, offusca la mente, paralizza, fa perdere lucidità. Ed è quello che, da una parte, stiamo vedendo con manifestazioni di dissenso scomposte, che spesso oltrepassano le colonne d'Ercole della civiltà e in alcuni casi anche il limite della legge, che intorbidiscono il dibattito sull'ambiente e allontanano larghe fette dell'opinione pubblica dalle giuste battaglie in difesa del nostro ecosistema.

L'ecoansia, in una paradossale eterogenesi dei fini, quando si trasforma in talebanesimo ecologista non combatte il cambiamento climatico ma lo agevola. Per difendere la Terra le strade vanno percorse non bloccate. E l'unica strada che ci può salvare è quella dell'innovazione, della scienza e del lavoro.

Green economy, sostenibilità, autostrade del mare, smart city, mobilità innovativa (possibilmente nel nome della neutralità e non della partigianeria ecologica) e nucleare, sono solo alcune delle

parole chiave che aprono gli scenari del futuro che dobbiamo costruire.

Per fare tutto questo bisogna chiudere nel cassetto del passato le ansie e i fondamentalismi che, a loro volta, sono una pericolosa forma di inquinamento.

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