Washington - Washington rassicura e ammonisce: non ci sarebbe alcun motivo per la Russia di uscire dal trattato sugli antimissili. Se lo facesse l’America lo considererebbe un «serio problema». «Per noi e per l’Europa - ha precisato il ministro della Difesa Robert Gates (nella foto) -; la questione dello “scudo antimissile” è un falso problema e Mosca farebbe meglio a preoccuparsi, invece, delle minacce che possono venirle dalle sue frontiere meridionali». Argomento ribadito quasi contemporaneamente dal generale John Craddock, comandante supremo della Nato. «I russi non hanno assolutamente alcun motivo per essere preoccupati. Questo scudo antimissile provvederà sicurezza contro gli attacchi degli “Stati canaglia”». Lo ha detto durante la sua visita a Varsavia per consultazioni militari e politiche con il governo del Paese che dovrebbe ospitare il nerbo della forza di dissuasione. L’altro è la Repubblica Ceca. A Praga Bush ha chiesto di poter installare un sistema radar, mentre in Polonia dovrebbero essere situati dieci «intercettori».
Ambedue i governi hanno accolto con favore, in linea di principio, la richiesta Usa, ma debbono fare i conti con una diffusa impopolarità dell’iniziativa, che il Cremlino evidentemente fa il possibile per aggravare con le sue pressioni, che hanno conosciuto una escalation nelle ultime ore: con la minaccia, appunto, di denunciare unilateralmente il trattato per la eliminazione dei «missili di teatro», quelli a medio e corto raggio. Una seconda contromisura di Mosca potrebbe essere il dislocamento di diverse batterie di missili a Kaliningrad, l’antica città prussiana di Koenigsberg, annessa all’Unione Sovietica dopo la Seconda guerra mondiale e oggi diventata una enclave russa dopo la dissoluzione dell’Urss, senza contiguità geografica con il resto del Paese e «circondata» da Paesi della Nato dopo l’adesione della Polonia e della Lituania all’Alleanza atlantica. La prima minaccia è stata formulata dal ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, la seconda dal capo di Stato maggiore, il generale Yuri Baluievski. La risposta americana è venuta sui due livelli: Gates a Lavrov e Craddock a Baluievski. E sono due anche i destinatari: gli Stati Uniti e la Polonia. Washington direttamente in quanto il trattato firmato nel 1987 da Ronald Reagan e dall’ultimo presidente sovietico Mikhail Gorbaciov è bilaterale, Varsavia indirettamente (non è firmataria) ma evidentemente più vulnerabile alle pressioni russe, militari e politiche. Soprattutto in questo momento in cui il governo polacco è fortemente tentato di chiedere a Bush il rinvio della costruzione della nuova base, pur senza negare la propria disponibilità. In sostanza, prendere tempo.
Gli Usa hanno invece subito preso posizione sul problema globale rappresentato, per molti, dall’atteggiamento di «sfide» in serie, culminato nella denuncia di Vladimir Putin dell’«uso eccessivo della forza e disprezzo per la legge internazionale» da parte di Washington; ma confermato nei fatti dall’uso dell’«arma energetica» per mantenere o riportare nell’orbita di Mosca Repubbliche ex sovietiche come l’Ucraina, la Bielorussia e la Georgia. Il governo Bush esprime disagio anche per la crescente collaborazione militare fra la Russia e la Cina, le forniture di tecnologia nucleare all’Iran e di armi alla Siria e, di recente, anche al Venezuela.
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