"Nuclearisti? Dementi" Ma se lo fosse Celentano?

Con una lettera sul "Fatto" il cantante deride i sostenitori delle centrali e del premier. I suoi argomenti? Solo insulti

"Nuclearisti? Dementi"  
Ma se lo fosse Celentano?

Le bucoliche Azzurro e L’arcobaleno, le ecologicamente nostalgiche Il ragazzo della via Gluck e Un albero di trenta piani, la catastrofista Jungla di città, la antinuclearmente corretta Sognando Chernobyl...
I greatest hits della carriera discografica di Adriano Celentano riecheggiano con una certa noiosa ripetitività gli aspetti più tragici e cupi di quella difficile convivenza tra l’Uomo e la Terra sulla quale, prima e insieme e dopo di lui, hanno riflettuto con ben altri frutti intellettuali le menti più lucide del Novecento, il Secolo delle Macchine e della Tecnica. Dimostrando, con un notevole senso del pop e uno spiccato fiuto per il successo, come anche i grandi drammi del pianeta possano essere narrati, e risolti, in 12 strofe e un refrain. Musica ecocompatibile e predicazione ultra-pop. Due facce dello stesso cd.

Ieri Andriano Celentano ha scritto una lettera-appello, teleologicamente apocalittica e sintatticamente approssimativa, «contro il nucleare, contro la privatizzazione dell’acqua, contro il legittimo impedimento, contro le bugie del presidente del Consiglio che tratta gli italiani da imbecilli ai quali non restano che le urne, quel voto popolare che Berlusconi sempre osanna e ora cerca di sfuggire». Un sermone urticante e disperato per sferzare gli italiani telecomandati da Arcore a reagire contro «la demoniaca voglia di avvelenarci di questo governo» e pubblicato in gran spolvero sul Fatto Quotidiano. Le ultime sue due omelie Celentano le aveva recitate sul Corriere della sera. Rispetto al giornale di Padellaro e Travaglio è un po’ come passare da una cattedrale metropolitana a una chiesetta parrocchiale. Segno che in via Solferino si sono stufati di stampare tutto quello che il cantante-predicatore gli lascia nella buca delle lettere... E non rimase che il Fatto.

Il fatto è che Adriano Celentano, nel suo legittimo furore antinuclearista, ritiene qualsiasi posizione contraria, o semplicemente dubbiosa, non soltanto illegittima - che sarebbe già troppo - ma imbecille. Che forse è eccessivo. Scrivere: «Essere nuclearisti non solo è una bestemmia, ma significa essere dementi fin dalla nascita» non è proprio un’argomentazione scientifica, né umanamente ecologica, contro le centrali atomiche. E non è neppure una provocazione. Ma solo una strofa sbagliata partorita da uno strampalato paroliere in crisi creativa. E decisamente visionario, se poco più avanti può scrivere che Antonio Di Pietro è «l’unico vero combattente per la salute delle prossime generazioni». È del resto vero, però, che i rockettari si sono sempre fatti di acido.
Adriano Celentano è comunque a suo modo un eroe simpaticissimo, un Don Chisciotte in maniche di maglietta sdrucita che si batte a favore dei mulini eolici che devastano i più paesaggi italiani pur di evitare «quel contratto di morte che Berlusconi ha firmato con Sarkozy per la costruzione di quattro nuove centrali nucleari». Ma trattando tutti quelli che si trova di fronte – «fascisti, studenti, leghisti, comunisti e operai insicuri», i politici di destra e quelli di sinistra, i governi delle grandi potenze nucleariste del mondo, dall’America alla Russia dalla Cina al Giappone, fino alla totalità o quasi dei paesi europei – come se fossero perfetti imbecilli, lascia aperta la possibilità che il vero imbecille sia un altro. Joan Lui.
«Il 12 giugno dobbiamo andare tutti a votare anche se, come è prevedibile, il governo tenterà l’impossibile per togliere dalle schede referendarie pure il legittimo impedimento. E, se lo dovesse togliere, dobbiamo essere ancora più numerosi davanti ai seggi. E, se per caso le sedi elettorali fossero chiuse, il vostro voto lasciatelo pure per terra scritto su un piccolo foglietto già preparato a casa, in modo che l’indomani tutti i marciapiedi d’Italia siano invasi da quaranta milioni di bigliettini», invoca il cantante-attore. Io francamente me ne infischio.

Nella sua lettera-manifesto, Adriano Celentano scrive grammaticalmente ciò che avrebbe potuto dire Beppe Grillo, o Pier Luigi Bersani. Ma con un effetto comico maggiore rispetto al primo e un risultato elettorale inferiore rispetto al secondo.

Il vecchio ragazzo della via Gluck diverte tutti. Ma non lo segue nessuno. Anche il disco più bello, quando è rotto, diventa inascoltabile.
A volte, su certi argomenti, a stare zitti si rischia di passare per cretini. Ma a parlare se ne dà la certezza.

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