Assistiamo alla traslitterazione antesignana della intelligenza collettiva predicata da Lévy, il pensiero a sciame o ad alveare che avrebbe contraddistinto, nell’Eone digitale, le teorizzazioni di Kevin Kelly. In Out of Control, Kelly non tratteggia solo una nuova biologia sociale e spirituale delle macchine e dell’economia e della società, ma un senso magico di perdita del controllo, in funzione sciamanica ed evocativa, che prelude il raggiungimento della assoluta consapevolezza: la consistenza non centralizzata del sapere e della intelligenza.
Il mito di Agartha, della incorporeità fattasi carne e mondo tutto ricondotto a unità nel digitale e nella tecnologia elevata, vista come opera alchemica per superare ogni limite del contingente, del reale e del biologico, è in fondo la negazione assoluta di questo approccio caotico e liberato. Agartha, come la Silicon Valley, è il punto di centralizzazione assoluta che si autoreplica producendo la propria visione di realtà-altra, mediante la fagocitazione del reale e la creazione di un virtuale con cui soppiantare il reale stesso.
Autentico convitato di pietra della famigerata opera di Raymond Kurzweil, dirigente di Google e padre teorico del transumanesimo, il quale arriva a teorizzare l’idea iper-gnostica di un computer come universo, è proprio il mito di una riduzione all’Uno Assoluto che prelude la sistematizzazione istituzionale del potere magico.
La centralità mistica della Rete e le sue ramificazioni finiscono per definire una similitudine potente con il mito di Agartha, governato sì da una popolazione di sapienti ma soprattutto da un re, il Re del Mondo: ed esattamente come in questa forma magica, assistiamo alla strutturazione nel web di layers di presunta democratizzazione del sapere, mediante pretesa orizzontalità della diffusione del sapere stesso e delle informazioni.
Ma a questo sapere, lungi dal corrispondere una vera orizzontalità, risponde una piramide iper-verticistica che si modula e si atteggia come monarchia magica e gnostica. Lo vediamo in alcuni partiti-digitali che hanno promesso “democrazia diretta digitale”, salvo poi dimostrarsi cyber-satrapie, lo vediamo con i sogni pop-egualitari venduti dal verticismo piramidale delle big tech, come ad esempio il salario minimo universale propugnato dalle grandi compagnie del digitale e che nei fatti finirebbe per costituire la premessa per una torsione neofeudale della società. Lo scenario metastorico prefigurato dal misticismo hi-tech è senza dubbio punteggiato di cattedrali gnostiche, rituali informazionali, e soprattutto da una modellazione castale della società stessa che passa per una contrattualizzazione dei rapporti sociali e per una dipendenza sempre più marcata dei cittadini/sudditi da una ristretta cerchia di potere.
In una certa misura, Kurzweil rilegge, e supera radicalmente, l’idea posta a fondamento del Punto Omega, coniata da Pierre Teilhard de Chardin, ovvero una convergenza verso una sapienza unica: sapienza unica convergente che viene conosciuta anche come “Noosfera”, una autentica coscienza collettiva che nasce dalle reciproche, molteplici interazioni tra menti umane.
Se in de Chardin è ancora presente un fondamento evidentemente cristologico, posto che la convergenza è nei fatti la Rivelazione del Logos, in Kurzweil la prospettiva vira verso il più puro tecnognosticismo, mediante una convergenza tra robotica, intelligenza artificiale, connettività digitale ai fini del superamento dei limiti umani: una trasvalutazione di ogni valore e canone biologico per far divenire l’individuo umano coincidente con la sapienza assoluta.
Ma la trasvalutazione non produce liberazione né elevazione, solo attrazione verso il nuovo centro. Mondo ctonio, silente, ma unico, da cui si irradiano le illusioni, il Computer mitico e mistico teorizzato da queste correnti tecnognostiche è antagonista della liberazione magica attraverso il vero, scintillante turbinio del caos.
Questa tentazione verso la iper-centralizzazione decentrata è piuttosto evidente se si ripercorrono le fasi di strutturazione della Rete. Manuel Castells nella sua ricostruzione delle fasi fondative dello spazio digitale distingue tra quattro insiemi e fasi socio-storiche, le quali sembrano ricalcare non solo concezioni tipiche della sociologia e della storia ma anche del pensiero iniziatico e delle fasi metastoriche dei miti fondativi, come l’Età del Ferro e quella dell’Oro: da un lato, infatti, Castells vede una élite imprenditoriale depositaria del pensiero tecnico realizzativo che informa la Rete, dall’altra un ulteriore gruppo operativo, quello degli hacker, che diventano una declinazione libertaria e individualistica, connessa solo da logiche cooperative ma non comunitarie, del primo insieme.
A ben vedere, una ricostruzione che echeggia la distinzione essenziale che intercorre tra una forma di sapere magico strutturato e istituzionale, fatto di gerarchia, istituzione magica, sapere celato, e un altro sapere, come quello che fu di Austin Osman Spare, visto e vissuto in chiave rigidamente individualistica. Gli hacker, senza dubbio alcuno, non sono stati solo i pionieri della frontiera digitale, coloro che ne hanno plasmato la cangiante identità: ne sono stati anche gli stregoni e i mistici fondatori, per come oggi la conosciamo.
Il riferimento più consueto agli hacker è non a caso quello di stregoni, maghi del computer: e questo riferimento al “mago del computer” non è solamente didascalico, esemplificativo, ma sostanziale. La costituzione culturale degli hacker, la loro semantica, sono non ancillarmente punteggiate di riferimenti al mondo magico e all’esoterismo. Esempio paradigmatico il New Hacker’s Dictionary, da cui emerge come termini prettamente esoterici quali “Voodoo Programming”, “Deep Magic”, “Black Magic”, “Demigod”, siano ormai integralmente introiettati nella cultura cyber.
Nel suo classico Giro di vite contro gli hacker, Bruce Sterling sottolinea come le prime tecniche di hacking avessero una stringente connessione tra mondo reale e mondo virtuale, nutrite dalla ingegneria sociale: modalità di raccolta dei dati, di analisi degli stessi, di manipolazione e di illusione. Molti hacker, scrive Sterling, raccoglievano i fogli di carta gettati nella spazzatura davanti alle direzioni amministrative di uffici di assicurazioni o banche o dei fast food, per ricostruire attraverso quei fogli potenziali password e poter così violare i sistemi informatici delle varie compagnie.
Ma l’autore rammenta anche un altro dato che rivela un elemento di assoluta, profonda analogia tra il mondo dell’hacking e quello della magia: la apparente contraddizione tra spirito collaborativo e radicale litigiosità. Gran parte dei più conosciuti gruppi di hacking, come la Legion of Doom o i Masters of Deception erano gruppi che si univano per potenziare i propri risultati, attraverso una forma di intelligenza collettiva, ma che poi rifluivano, tra litigi, egolatria, narcisismo tecnologico, in faide e discussioni e scismi. Il destino dei gruppi magici e dei maghi, in poche parole.
La connessione tra Internet, personal computer – che consentì l’accesso alla Rete e alla informatica a un numero crescente di individui – e cultura hacker trasformò tanto la Rete quanto il computer in manufatti magici. Claire L.
Evans scrive: “Internet come mezzo di comunicazione praticamente decise di esistere, trasformando il computer da un calcolatore a una scatola piena di voci”. La connessione di informazioni finiva per accrescere la conoscenza, e questa era inevitabilmente potere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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