Sicurezza, tecnologia, sviluppo industriale: il grande gioco del litio italiano

Il litio italiano può spingere il ruolo di Roma come potenza industriale nella transizione energetica. Andrea Dini, ricercatore del Cnr, spiega l'importanza di esplorare i giacimenti attivi

Sicurezza, tecnologia, sviluppo industriale: il grande gioco del litio italiano

Nelle ultime settimane ha fatto molto parlare l'annuncio della presenza di giacimenti dilitio, materiale chiave per la transizione energetica in settori come le batterie per le auto elettriche, nella zona di Campagnano, vicino Roma. Il litio, sempre più strategico, è un materiale tutt'altro che raro nella crosta terrestre, ma complesse sono le tecnologie per l'estrazione. L'Italia può avviare una produzione nazionale? IlGiornale.it ne parla con Andrea Dini, ricercatore dell'Istituto di Geoscienze e Georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche e coordinatore del team che ha realizzato lo studio Lithium Occurence in Italy - An Overviews pubblicato nel 2022 sulla rivista Minerals e in grado di fornire la prima "mappa" del litio italiano potenzialmente sfruttabile.

Dottor Dini, è partita la “febbre del litio”, in Italia e non solo. Cosa spinge questo rinnovato interesse? Nel vostro report parlate anche di questioni geopolitiche, sono queste a rendere più impellente la ricerca?

“Si. L’Italia segue una strategia conforme a trend generalizzati in Europa e negli Stati Uniti, che hanno a che fare con gli sviluppi nella globalizzazione e nei commerci. Dopo l’entusiasmo iniziale di una globalizzazione pensata come felice e senza problemi e il mito delle delocalizzazioni ci siamo resi conto di tanti limiti e del fatto che il mondo non fosse “piatto”. Finché tutto andava bene nei commerci la globalizzazione è stata presentata come una manna, ma le crisi a ripetizione che hanno interessato il sistema-mondo hanno presentato il conto di una rete di filiere mondiali molto fragili. E ci siamo resi conto che anche per le materie prime vale quanto conta per l’industria, e cioè che se la produzione viene fatta in pochi Paesi siamo in un contesto di debolezza”.

L’Europa di recente ha preso conto di questo problema. Come giudica le ultime mosse?

“Il 13 marzo l’Ue ha promosso il Critcal Raw Materials Act. Un atto d’indirizzo che vede delle premesse importanti. Bisognerà capire se saranno realizzate ma ci sono almeno tre spunti strategici interessanti. Il primo tema è quello della reindustrializzazione dell’Europa sui materiali critici: l’Ue mira a riportare il 10% della produzione sul territorio europeo aprendo miniere. In secondo luogo, è interessante l’impegno a diversificare contatti e canali di approvvigionamento con altri Paesi, privilegiando quelli più politicamente compatibili, come ad esempio Canada e Australia. In terzo luogo, sarà da monitorare l’impegno a sviluppare le industrie e non solo l’estrazione delle materie prime, ragionando a livello filiera intera. Questo vale anche per asset strategici come i semiconduttori e le gigafactory”.

Per l’Italia cosa può essere maggiormente impattato?

“L’Italia può valorizzare le forze dei suoi settori industriali in un raggio che va dal minerario al chimico. Sull’estrazione il tema è chiaro, sulla chimica non dobbiamo scordare che parliamo di un campo in cui l’Italia presentava poli di eccellenza mondiale in passato e che per eventi come Tangentopoli e il suicidio di Raul Gardini sono stati profondamente smantellati. Abbiamo deciso di chiudere tutto e ne paghiamo gli errori. Ma non è troppo tardi per invertire la china e la transizione energetica offre opportunità”.

Si apre dunque una partita interessante anche alla luce della possibilità di esplorare i siti di estrazione del litio a Campagnano, vicino Roma, e in altre località. Quanto sarebbe conveniente approvvigionarsi in loco?

“Questo andrebbe chiesto alle compagnie minerarie che stanno pensando di esplorare questi potenziali giacimenti. Qualunque azione da noi ha un peso crescente in termini di costi rispetto a Paesi produttori di litio come Cile o Bolivia, ma questo è il cambio di paradigma che dobbiamo accettare. Bisogna smettere di discutere in termini di costi del lavoro e aumentare la produttività senza che il problema del costo diventi quello fondamentale. Il discorso è centrale è legato alla strategia geopolitica.

Sicurezza come presupposto della prosperità: un trend dominante in questa fase di sconvolgimenti geopolitici globali…

“Bisogna accettare costi più alti in nome della sicurezza degli approvvigionamenti. All’inizio della guerra in Ucraina, per fare un esempio, a Sassuolo non gli sono più arrivati 4 milioni di tonnellate di caolino per realizzare le ceramiche di alta qualità del locale distretto, un’eccellenza mondiale. Occorre chiedersi: qual è investimento giusto? Quello che si focalizza sulla realizzazione di vantaggi di costo o quello che punta a costruire filiere vincenti sul lungo periodo?”

Nodi fondamentali. Aggiungiamo poi che spesso la partita della transizione non è scomponibile in monadi separate. Vale anche per la corsa al litio italiano?

“La partita della transizione energetica è estremamente complessa: impone di pensare in grande a diverse tecnologie e settori. Dall’eolico al geotermico, fino alla ricerca sulla fusione nucleare. Le ricerche su materie prime e industria rientrano in questo filone. Tutte le azioni messe assieme nell’arco di cinquanta, cento anni cambieranno il mondo. Non è pensabile fare i conti su una singola azione pensando sia risolutiva, ma ragionare in ottica di sistema. La corsa al litio romano consente di farlo. I bacini in cui si potrebbe estrarre sono legati a importanti giacimenti geotermici che potrebbero offrire vantaggi non secondari”.

In che modo si potrebbero ottenere?

“Un’attività mineraria come quella per ora solo ipotetica che coinvolgerebbe le aree interessate del Lazio, e mi auspico anche della Campania, permetterà di produrre litio, teleriscaldare i comuni vicini, facendo accettare alle comunità locali i vantaggi dell’estrazione grazie all’impatto diretto e a una bolletta più leggera per i cittadini, e produrre energia elettrica.

Come mai fino ad ora non sono stati avviati progetti così strutturati?

“Quando negli Anni Settanta e Ottanta fu avviata nell’area l’esplorazione geotermica per individuare siti simili a quello attivo di Lardarello la tecnologia a disposizione era molto diversa e ridotta in termini di complessità tecnologica. Il litio non interessava quanto oggi e prima che Sony realizzasse le prime batterie a ioni di litio nel 1991, non era ritenuto sfruttabile neanche il giacimento presente in acque calde, salate e profonde a Bracciano. Non fu nemmeno avviata la produzione geotermica perché il vapor d’acqua per produrre energia elettrica non fu trovato in massa critica sufficiente per le tecnologie dell’epoca. Oggi con le acque calde si può produrre energia elettrica. E la conformazione geologica permetterebbe di promuovere politiche di estrazione del litio non invasive senza creare bacini enormi come i salar andini, dove l’acqua viene fatta evaporare. Anche in quei giacimenti si sta iniziando a cambiare, si cerca di ridurre l’impatto ambientale utilizzando tecnologie che permettono di togliere il litio dalle acque calde salate in maniera diretta. Per farlo si usano resine a scambio ionico, solventi organici e altre tecnologie d’avanguardia”.

Qualora a Campagnano si iniziasse a estrarre litio che scenario apparirebbe a chi guardasse gli impianti?

“A Campagnano si vedrà un tubo in uscita dal sottosuolo che attraverserà un campo, entrerà in un capannone dove si produce energia elettrica e teleriscaldamento, mentre un processo chimico permetterà di estrarre dalle acque calde il litio. Al termine del processo rimarrà un’acqua calda con alte concentrazioni di sodio, cloruro e potassio che sarà iniettata dove è stata presa senza ricadute ambientali eccessive. Una forma di circolarità delle risorse capace di garantire la cogenerazione”.

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Il territorio di Campagnano, vicino Roma (Agosto 2021)

E per quanto riguarda le bauxiti sarde? Al Cnr avete sottolineato potrebbero essere un’altra fonte interessante…

“Potrebbe essere interessante come fonte di terre rare il giacimento di bauxite sarda di Olmedo, in provincia di Sassari, rimasto chiuso per un lungo periodo. Si tratta di una bauxite con molto silicio, non la migliore per l’alluminio, ma interessante per la ricerca di litio, terre rare e eventuali sviluppi non convenzionali. L’Università di Sassari collabora sul terreno per indagare eventuali sviluppi. E la cosa crea curiosità ed entusiasmo, una nuova primavera mineraria per materiali critici e strategici che è interessante indipendentemente dalla quantità che si troverà”.

Ritiene che l’attività possa creare valore per il Paese?

"Sì. L’autarchia, chiaramente, è una chimera e sarebbe una follia pensarla come fattibile nel tempo presente. Né come rilancio dell’attività mineraria penso, ad esempio, ad aprire progetti estrattivi in ogni settore. Ma cercare litio, terre rare, cobalto e altri materiali critici mi sembra importante. Sul fronte del litio, spero che gli attori interessati a Campagnano e in altre aree promettenti come i Campi Flegrei investano. Non saremo mai un produttore autosufficiente come Australia o Cile, saremo produttori di taglia medio-piccola, ma l’importante è il sistema che si innesterà su una serie di ricerche di questo tipo. Si potranno valorizzare settori tecnici e competenze di alto profilo. Nelle aree oggetto di esplorazione mineraria serviranno chimici, ingegneri, geologi, si dovrà fare ricerca industriale, non si potrà riprendere i modelli di altri progetti già avviati in aree come la Cornovaglia inglese o la Valle del Reno al confine tra Francia e Germania.

Parliamo di un processo virtuoso per diffondere innovazione, spingere giovani intraprendenti alla creazione di start-up, generare economie di scala. E sviluppare dinamismo industriale. Non abbiamo gigafactory o altri impianti chiave dell’industria di punta legata alla rivoluzione tecnologica della transizione, e sarebbe ora di invertire la rotta”.

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