O’Carroll, storie di Dublino narrate in famiglia

Sarà che il popolo irlandese alle ristrettezze e all’isolamento ci ha fatto il callo; sarà che milioni di suoi figli se ne sono dovuti andare a spasso per il mondo pur di trovare qualcuno che gli desse un tozzo di pane; oppure saranno stati i secoli di sopraffazioni e guerre intestine passati ad affermare un’identità nazionale fortissima a fare dell’Irlanda uno dei più straordinari produttori di talenti narrativi. Da un piccolo paese con una storia tribolata come la sua ci si attenderebbero dei narratori che scrivano romanzi intrisi di tristezza e violenza, storie improntate al senso di una tragedia ineluttabile. Ed è proprio la sovversione di tale equazione a sorprenderci. Per quanto possa valere una generalizzazione, i romanzieri irlandesi hanno nella scrittura lieve, autoironica e carica di un sano amore per la vita, la loro qualità più preziosa.
I Marmocchi di Agnes (Giano, pagg. 212, euro 15) di Brendan O’Carroll, fortunatamente, non rappresenta l’eccezione che conferma la regola. Fa una certa invidia pensare che un uomo come O’Carroll, uno dei più popolari comici d’Irlanda, oltre al dono dell’intrattenimento abbia anche quello della narrazione. Il più giovane di undici figli, racconta le storie che molti suoi connazionali di un’Irlanda che sta cambiando vertiginosamente avrebbero voluto raccontare. Microstorie raccontate soprattutto attraverso le emozioni di Agnes, una madre amorevole e spassosa. Una nidiata di marmocchi, quelli di Agnes, che tornano dopo aver sorpreso i lettori in Agnes Browne Mamma, il primo capitolo di una serie che ne prevede tre. Sono marmocchi diversi. Ce n’è uno che ha un talento innato per gli affari, un altro per i traffici illegali, un altro che si diletta a derubare negozi, un altro che è un artista in erba e un altro ancora che mostra pericolose inclinazioni omosessuali, almeno per l’Irlanda degli anni ’70. E ci sono pure due ragazze alle prese con lo sbocciare della pubertà. Ma soprattutto c’è Agnes, con il suo carico di umanità e un atteggiamento scanzonato nei confronti di una vita iniziata a quasi quarant’anni, con la morte di un marito che la soffocava. Ora c’è una vita tutta da vivere, ma ci sono anche tante preoccupazioni e piccole gioie quotidiane. Straordinarie le scene in cui, a tavola, quando la famiglia si riunisce, Agnes tiene i suoi discorsi da mater familias. Perché, in fondo, la famiglia irlandese ruota intorno alle donne.
Brendan O’Carroll non inventa nulla di nuovo, ma chi sa dare emozione con la tradizione ha in sé il germe della saggezza popolare: sacerdoti, guinness e sidro, ottimismo, solidarietà, tradizioni matrimoniali, corse di cavalli, scommesse, liti in famiglia, patriottismo, infinite tazze di tè nero. C’è anche un aspetto non trascurabile della nuova società irlandese, probabilmente già in embrione negli anni ’70: il razzismo, in questo caso praticato dagli skinhead.

«Dublino non aveva una popolazione di indiani, sudamericani o... persone di colore, perciò erano gli omosessuali a fare le spese di tutto». Ma soprattutto c’è tanta spontaneità, al servizio di una scrittura che è al servizio del lettore. Non è poco.

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