«Operazione di bassa politica candidare un ex prefetto»

«Il rappresentante del governo serve quando non si trova soluzione ai problemi della città»

Marcello Chirico

«Essere stato un prefetto, per quanto bravo e capace, non è requisito per poter fare il sindaco». Parola di chi primo cittadino di Milano lo è stato per davvero e di fronte alla candidatura di Bruno Ferrante da parte del centrosinistra è rimasto interdetto. Parliamo di Giampiero Borghini, ultimo sindaco socialista della «capitale morale» (dal ’92 al ’93) e ora assessore regionale alle politiche per la casa, fortemente voluto da Roberto Formigoni per poter dare anche un taglio riformista alla propria amministrazione.
Che cosa non la convince della candidatura Ferrante, assessore?
«A prescindere dal valore della persona, che non discuto, mi sconcerta una scelta di questo tipo perché non riesco ad afferarne il messaggio politico. Anzi, mi sembra piuttosto una rinuncia politica. A meno che l’Unione, avendo molti problemi al proprio interno, abbia deciso di farli risolvere a un prefetto, come in genere si fa quando non si riesce a trovare una soluzione ai problemi di una città».
Eppure a sinistra rivendicano il merito di questa scelta.
«Finora ho visto candidare dall’Unione solo magistrati, sorelle di magistrati e rappresentanti dello Stato in genere. Comincio a pensare che questo sia il loro trend di lavoro, quasi la sinistra cercasse una propria legittimazione attraverso un rappresentante istituzionale. Personalmente la ritengo bassa politica».
La convinzione sembra essere quella che Ferrante possa far bene poiché conosce i problemi di Milano.
«Finora Ferrante è stato testimone di una capacità amministrativa. Se sarà più o meno bravo a risolvere concretamente i problemi lo si potrebbe intuire da cosa pensi politicamente, e questo finora non l’ha fatto trasparire dal proprio operato».
In altre parole: si candida per l’Unione ma non sappiamo ancora se pensi alla stessa maniera di chi l’ha candidato.
«Un candidato-sindaco lo si giudica sulla base dei propri progetti politici. E quello di Ferrante non lo si conosce. Avrà fatto pure un ottimo lavoro come prefetto, ma non è un politico. E non mi pare che Milano abbia bisogno di un tecnocrate o di un city-manager, ma di un sindaco che interpreti al meglio l’anima di questa città. Che, lo ricordo, dai tempi del Rosmini ha un’identità liberal-riformista».
E questa identità non potrebbe averla anche Ferrante?
«Non lo sappiamo. Nulla di quanto detto e fatto finora ci dice che cos’è politicamente Ferrante. Prima di qualificarlo come riformista o qualcos’altro deve dirci in che modo voglia affrontare i problemi di Milano».
Lo spot di presentazione finora è stato: piace alla gente più della Moratti.
«Ferrante ha fatto bene il proprio mestiere, ma tutta la sua storia non fornisce elementi su come potrebbe essere come sindaco. La Moratti sappiamo invece bene chi è, cos’ha fatto e cosa rappresenta: di lei possiamo formulare un giudizio politico esaustivo e provare a immaginare cos’ha in mente per Milano. Di Ferrante non sappiamo nulla».
Scelta sbagliata, quindi?
«Non lo so. In genere un prefetto viene chiamato in causa quando si vuole commissariare una città, perché a fronte delle difficoltà delle forze politiche occorre un uomo-forte in grado di governare per un certo periodo la città.

Quando feci io il sindaco arrivò Gelati. L’Italia attuale non uscirà comunque dai propri casini se Milano non inventerà qualcosa di nuovo in termini di governo e innovazione. Al momento non sono in grado di dire se Ferrante sia in grado di farlo».

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