Il dialetto fa bene

Oggi si celebra la giornata nazionale del "vernacolo". Lo studio sulla popolazione di cinque regioni: parlarlo aiuta il bilinguismo. E anche a contrastare l'Alzheimer

Il dialetto fa bene
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C'è chi dice che il dialetto sia una lingua che non ha fatto «carriera». E forse è proprio così. Però per secoli gli italiani hanno parlato dialetto nei loro borghi, nei paesini, nei contadi e nelle città. Con l'unificazione nazionale si è poi cominciato a parlare «italiano», ispirandosi al «fiorentino» per permettere a (quasi) tutti di comunicare e comprendere il territorio intero. Fatta l'Italia bisognava fare gli italiani e un lingua serviva con buona pace dei dialetti che però hanno continuato a vivere. E per fortuna viene da dire. Oggi si celebra la «Giornata Nazionale del Dialetto e delle Lingue Locali» con una serie di iniziative in tutta Italia attraverso la rete delle Pro Loco, con una serie di eventi, con un Convegno Ufficiale nell'Aula dei Gruppi consiliari della Camera, con incontri e approfondimenti. Anche «Topolino» darà il suo contributo per ricordare la ricchezza linguistica del nostro Paese con un numero speciale che andrà nelle edicole di Sicilia, Toscana, Lombardia e Campania con la storia Zio Paperone scritta da Niccolò Testi per i disegni di Alessandro Perina, tradotta rispettivamente in catanese, fiorentino, milanese e napoletano. Al progetto è dedicata anche una cover di Andrea Freccero, con protagonista lo Zione e la bandiera tricolore. La «Giornata Nazionale del Dialetto e delle Lingue Locali» è stata istituita dall'Unione Nazionale delle Pro Loco (Unpli) nel 2013 con l'intento di sensibilizzare istituzioni e comunità locali alla tutela e valorizzazione di questi patrimoni culturali in piena armonia con le direttive dell'Unesco nell'ambito della Convenzione per la salvaguardia dei patrimoni culturali immateriali.

Ma chi parla ancora in dialetto oggi in Italia? Chi lo usa quotidianamente in un Paese che sta cambiando, che si sta globalizzando, dove sempre più si diffondono gli inglesismi, dove gli idiomi si mescolano per gli effetti delle migrazioni e dove il «dialetto» è sempre più costretto a scrollarsi di dosso il pregiudizio di lingua popolare, semplice e grezza, utilizzata perlopiù da chi poco sa o poco ha studiato? Non è così e infatti lo parlano ancora in parecchi. Non tutti ma in tanti: anziani, meno anziani, giovani e giovanissimi più o meno istruiti. Un'indagine presentata nel progetto di ricerca AlpiLinK che vede come capofila l'Università di Verona, coinvolge gli atenei di Bolzano, Trento, Torino, Valle d'Aosta, e che è riconosciuta dal Ministero come progetto di rilevante interesse nazionale, ha esaminato i dati raccolti da 1030 parlanti lingue minoritarie di 505 località diverse dei paesi dell'arco alpino. In queste zone, una di quelle più legate all'uso del dialetto è il Tirolo dove il 91% dei residenti utilizza l'idioma locale con familiari e amici.

Non molto diversi i numeri dei ladini con il 78% che parla di frequente la lingua in famiglia e nelle relazioni con gli amici. Le percentuali poi scendono al 71% in Friuli, al 52% in Veneto e al 29% e 22% per i dialetti lombardi e piemontesi.

«La Giornata nazionale del dialetto e delle lingue minoritarie - spiega Stefan Rabanus, coordinatore del progetto AlpiLinK e professore di linguistica tedesca all'Università di Verona - rappresenta un'occasione preziosa per ricordare che dialetti e lingue minoritarie costituiscono un aspetto importante del patrimonio culturale: rispecchiano l'identità storico-culturale di un territorio ed esprimono un senso di appartenenza alla comunità». Accanto a questo aspetto, c'è un secondo forse meno noto: «La padronanza di un dialetto o una lingua minoritaria accanto alla lingua nazionale - continua Rabanus - costituisce un bilinguismo che porta gli stessi benefici cognitivi della padronanza di una lingua straniera. Studi recenti realizzati attraverso la MRI - Magnetic Resonance Imaging- sono riusciti a dimostrare che lo spessore della sezione della corteccia cerebrale del giro frontale superiore, coinvolta in funzioni cognitive complesse come il linguaggio, è correlato anche al livello di competenza dialettale.

Ecco che chi parla fin dall'infanzia due lingue - siano esse idiomi ufficiali o lingue minoritarie - è dotato di maggior flessibilità cognitiva ed è ad esempio più predisposto all'apprendimento di una nuova lingua. Non solo: studi medici confermano che il bilinguismo può rallentare di alcuni anni lo sviluppo dei sintomi dell'Alzheimer».

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