Ora anche l’Unione prepara la legge contro l’abuso delle intercettazioni

Sul caso di Vittorio Emanuele interviene il Garante per la privacy: «Verificherò se ci sono violazioni»

Marianna Bartoccelli

da Roma

Dopo l’ennesima pubblicazione di paginate e paginate di intercettazioni telefoniche che, stavolta, sono quelle inserite nell’ordinanza di rinvio a giudizio di Vittorio Emanuele e degli altri imputati del processo di Potenza, scende in campo anche il Garante per la privacy, Francesco Pizzetti, che non solo «raccomanda il massimo senso di responsabilità nel valutare con scrupolo l’essenzialità delle notizie pubblicate», ma annunzia che «non mancherà di intervenire con la massima tempestività nel caso in cui sia necessario e qualora pervengano ricorsi da parte degli interessati».
Anche il mondo della politica torna ad affrontare la questione ripercorrendo la strada già tracciata dal governo Berlusconi subito dopo le intercettazioni legate al caso Fazio. Arriva in commissione Giustizia, depositato dal 14 giugno, un disegno di legge ancora più duro di quello che era stato discusso nei mesi passati (dove la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche e ambientali veniva punita con la sospensione dei giornalisti autori delle pubblicazioni, dall’albo professionale). Il disegno di legge attuale prevede addirittura la detenzione per i giornalisti che diffondono notizie coperte dal segreto istruttorio. Firmata dal vicepresidente commissione Affari istituzionali, Guido Calvi, noto avvocato penalista, la legge inserisce un nuovo articolo nel codice penale, prevedendo di punire con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque «rivela indebitamente il contenuto di conversazioni o comunicazioni intercettate in un procedimento penale e coperte da segreto delle quali è venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio, servizio o qualità e ne agevoli in qualsiasi modo la conoscenza». Non è l’unica legge pronta per il dibattito d’aula: alla Camera c’è quello di Giorgio Jannone, deputato di Fi, che prevede anche che il ministro di Giustizia riferisca al Parlamento ogni sei mesi i dati relativi alle intercettazioni telefoniche eseguite. E il deputato di Fi Osvaldo Napoli ha proposto l’istituzione di una commissione di inchiesta. Al Senato, pronto anche un disegno di legge per regolamentare le intercettazioni telefoniche e punire chi viola il segreto istruttorio, che porta la firma di Francesco Cossiga. In attesa che i disegni di legge facciano il loro percorso d’aula, la Cdl chiede al ministro Mastella di intervenire al più presto con un decreto legge (di più rapida applicazione del disegno di legge) contro questa «barbarie» e che vieti la pubblicazione delle intercettazioni «che hanno investito oltre ai due Savoia il mondo della politica e dell’informazione in un mix di veleni e pettegolezzi dove prevale almeno per il momento soprattutto la condanna morale». E lo stesso Roberto Villetti della Rdp si unisce alla richiesta della Cdl al ministro Mastella per una rapida iniziativa legislativa.
Fabrizio Cicchitto intanto individua «nella diffusione di intercettazioni a senso unico una barbarie che per di più consente di distogliere l’attenzione dai problemi reali e dalle contraddizioni politiche di questa maggioranza». E denunzia «la sistematica violazione del segreto istruttorio in più realizzato in modo selettivo scegliendo fior da fiore»
Ma anche a sinistra adesso sembrano tutti convergere verso la necessità di dire basta a questo metodo. Lo fa il vicepremier Francesco Rutelli che, intervenendo a «Porta a Porta», pur difendendo le intercettazioni come uno strumento utile alle indagini, sottolinea che «non possono essere pubblicate a scapito dei diritti delle persone private». Lo fa con toni più duri Enrico Boselli della Rosa nel Pugno sostenendo che la giustizia deve essere una priorità dell’attuale governo e che «il problema delle manette facili riguarda tutti, destra e sinistra». Per la Rosa nel Pugno comunque la pubblicazione delle intercettazioni sottoposte a segreto istruttorio va condannata decisamente. Lo afferma Sergio D’Elia rimbalzato di recente alla cronaca per le polemiche nate sulla sua nomina a segretario dell’ufficio di Presidenza al Senato, malgrado una sua condanna (ampiamente scontata) per avere partecipato da militante di Prima Linea all’assassinio di un esponente delle forze dell’ordine. D’Elia, fondatore dell’associazione «Nessuno tocchi Caino», considera la pubblicazione delle intercettazioni «incivili e segno di degrado irreversibile dello Stato di diritto», e pone il quesito che spesso si è posto anche Silvio Berlusconi a proposito della giustizia italiana: «In caso di errore nessun tribunale o articolo di giornale potrà riparare il danno» che ricevono oggi i protagonisti delle intercettazioni. E parla di «condanna preventiva e irreparabile».

«Mi pare evidente e prevalente - continua D’Elia - il dato di persone i cui comportamenti, e non tutti, possono configurare ipotesi di reato ma, proprio per questo, è vergognoso che quelle persone prima del giudizio nelle sedi competenti siano state esposte al pubblico ludibrio». Anche D’Elia si augura che si intervenga al più presto «con norme più rigorose, perché i depositari di atti coperti dal segreto istruttorio rispondano personalmente della sua violazione».

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