Roberto Scafuri
da Roma
Abbandonati su un binario morto i vagoni più pesanti, la legge elettorale imbocca da oggi alla Camera la linea «direttissima». AllUnione non resta che tornare sulle barricate contro il «colpo di mano» e provare persino con una proposta indecente: «LUdc si fermi - dirà in serata il ds Chiti - e potremmo proporgli la desistenza». Chiti precisa di parlare a titolo personale e di non aver consultato nessuno nella Quercia ma pensa che «lUdc esprima un malessere a stare in questa destra e la legge della Cdl svende la sua autonomia politica. Si potrebbe offrire allUdc un modo per uscirne, non parlo di cambi di collocazione perché il Paese non ha bisogno di trasformismo. LUdc dovrebbe avere il coraggio di presentarsi in modo autonomo alle elezioni e lUnione potrebbe costruire non unalleanza, ma un rapporto che garantisca un diritto di tribuna allUdc in Parlamento nella prossima legislatura».
Intanto oggi Prodi definirà in un vertice con leader e capigruppo tempi e modi della «lotta continua» (copyright Violante). Ma qualche focolaio acceso ieri, qua e là, non dovrebbe modificare il cammino rapido del provvedimento.
La legge si farà, assicurava lazzurro Donato Bruno, e «funzionerà». Non sembrano massi capaci di bloccarla né lavvertimento leghista che «si voterà prima la devoluzione e poi la legge elettorale», né la ministro Prestigiacomo che lamentava poca sensibilità per la «quota panda» (leggasi «valorizzazione del contributo femminile alla politica»). Così le polemiche dellopposizione sul ruolo del presidente Casini «arbitro e giocatore»: «Le convinzioni personali non contano - replicava lui -, applico il regolamento e tutelo tutti». Anche il pericolo «franchi tiratori» veniva esorcizzato tanto da Bruno quanto dal vicepremier Fini, mentre lUdc di Follini presentava un emendamento per reintrodurre le preferenze, ma senza voler «fare barricate» se alla fine rimanesse il sistema delle «liste bloccate». «Se non cè il formaggio sugli spaghetti - metafora del capogruppo udicì in commissione, Di Giandomenico -, la pasta la mangiamo lo stesso».
Il tipo di «maccherone» cucinato ieri in commissione, latteso «subemendamento alla toscana» prevede il ritorno alla grande del proporzionale, con liste bloccate, quote di sbarramento differenti per partiti singoli, coalizzati e per le coalizioni (2, 4 e 10 per cento), premio di maggioranza e indicazione del premier. Una soluzione che soddisfa tecnicamente molti degli interessi in campo, anche se parecchi deputati mugugnano pensando al lavoro svolto nei collegi in questi anni e lUnione grida allo scandalo sia per un «dimezzamento» della (agognata) vittoria alle elezioni del 2006, sia - soprattutto - per il presupposto che «non si possono cambiare le regole in modo unilaterale poco prima del voto» (sintesi prodiana). Presupposto contestato da Giulio Andreotti, secondo il quale «una profonda modifica alla legge elettorale si fa nellultimo anno della legislatura, anzi negli ultimi mesi. Altrimenti, cambiandosi la base della rappresentanza, si devono sciogliere le Camere anticipatamente».
Il copione della giornata non ha negato qualche trambusto. In una capigruppo mattutina veniva proposto lo slittamento di mezza giornata dellapprodo in Aula del provvedimento, ma lUnione rifiutava. Nel frattempo, in commissione Affari costituzionali, la minoranza abbandonava i lavori e la maggioranza approvava il subemendamento in solitudine. Una conferenza stampa caricava le polveri unioniste. Prodi confermava «opposizione assoluta» con toni accorati: «Trovano accordo solo sulle cose sciagurate, mai sul Mezzogiorno o su altre cose... È terribile...». Fassino tornava sulla «paura del voto»: «La Cdl tenta di evitare il naufragio alterando la volontà dei cittadini». Intini la trovava «una soluzione bulgara». «Si imbroglia la scelta dellelettore», diceva Mastella. Profili di incostituzionalità riscontrava Pisicchio. «Ingegnosi trucchetti», li definiva Diliberto. «Truccano le carte», insisteva Pecoraro Scanio. Di Pietro denunciava le «tappe forzate» per far passare la legge, Cento e Bertinotti già pensavano a «una grande manifestazione popolare in difesa della democrazia». Ricompariranno i «franchi tiratori»? Per Bruno, presidente della Affari costituzionali, il pericolo è ridotto: «Non abbiamo nessuna paura del voto segreto, se cè laccordo tra i leader non credo ci saranno problemi».
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