Ortombina alla Scala. Tra le tensioni

Via Meyer, il sovrintendente arriva dalla Fenice. Concessa la proroga a Chailly

Ortombina alla Scala. Tra le tensioni
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Roma batte Milano 1 a 0. Così è finito il match al Teatro alla Scala. Via Dominique Meyer, avanti Fortunato Ortombina dal primo settembre sovrintendente designato: come voleva il ministero della cultura deciso a troncare il ventennio di sovrintendenza austro-francese. Ma come non voleva parte del Cda, non compatto e dunque perdente nel promuovere proroghe al sovrintendente uscente. Da settembre, in affiancamento dall'attuale sovrintendete scaligero, arriva Fortunato Ortombina, il numero uno della Fenice di Venezia. A Meyer è stato proposto di congedarsi l'1 agosto anziché l'1 marzo, proroga di cinque mesi sulla quale Meyer promette di riflettere, ma che quasi sicuramente scarterà. Il limbo è stato estenuante: «Prima hanno proposto tre anni, poi uno, poi due. E il ministro ha forse perso il mio numero di telefono? Ho conversato due ore con il suo messaggero, gentile, però è un po' come quando perdi l'aereo e ti mandano l'hostess gentile a comunicare che non parti», chiosa.

A compensazione, la proroga è stata concessa al direttore musicale Riccardo Chailly al quale dovrebbe subentrare Daniele Gatti dal 7 dicembre 2026. Via Meyer uno e trino, sovrintendente, direttore artistico e generale, e avanti Ortombina come sovrintendente e che potrebbe portarsi Andrea Erri, così si vocifera, da Venezia come direttore generale. Quanto al direttore artistico, si vedrà. Vincitori sono il governo e Chailly. Sconfitti i restanti, o almeno in parte. Tutto sommato perde il teatro che dovrebbe (poter) scegliere sulla base di un progetto artistico, lesa anche l'immagine dell'ente sul quale una cordata di sponsor scommette contribuendo con laute donazioni a 1/3 del bilancio.

Ortombina lascia comunque ben sperare. Ha sperimentato ogni ingranaggio del teatro per averci lavorato da subito e in diversi ruoli, e in primis conosce la musica: l'ha studiata, in conservatorio e in università. Miracolo. Di Mantova, classe 1960, si è formato a Parma, nel Teatro Regio ha fatto tutto: professore d'orchestra, artista del coro, aiuto maestro del coro e maestro collaboratore. Ha passato Verdi ai raggi X, tutto sa del Cigno di Busseto. Ha operato nei teatri di Torino, Napoli e dal 2003 al 2007 è stato coordinatore della direzione artistica della Scala prima di approdare alla Fenice di Venezia.

Certo. Il limbo di questi mesi ha scatenato inconsuete reazioni.

Marco Vizzardelli, che all'ultima Prima gridò «Viva l'Italia antifascista», sta in pianta stabile nel palco del direttore musicale: a indicare che la pancia del teatro è con il Maestro? Così come le maestranze, in primis l'orchestra, hanno spesso chiesto lumi al cda «siccome immobile». Ora s'è mosso. Anzi: ha incassato.

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