La disputa territoriale sulla Regione dello Jammu e Kashmir è vecchia come l’indipendenza dei due territori, Pakistan e India, dal dominio coloniale britannico.
Così come in Medio Oriente il colonialismo della Corona lasciò un territorio instabile, anche nel subcontinente indiano i britannici lasciarono in eredità un territorio conteso da due fazioni religiose. Nel 1947 il Maharaja induista del Principato del Kashmir, regione a maggioranza musulmana, ratificò l’Atto di Cessione alla nazione indiana. Un gesto non riconosciuto dal Governo pakistano che organizzò le proprie forze per annettere il territorio rivendicato. La Risoluzione Onu che seguì la fine delle ostilità sancì la divisione della Regione in due parti. Una settentrionale controllata dal Pakistan e una meridionale controllata dall’India. I conflitti per lo Jammu e Kashmir si riproposero ancora nel 1965 e nel 1999. L’intenzione era sempre quella del Pakistan di riprendere il controllo della parte del Kashmir controllata dall’India.
La situazione nel frattempo si è complicata per il raggiungimento da parte di entrambi i Paesi della tecnologia atomica a scopo militare. L’India era già dotata dell’arma atomica dal 1974, mentre il Pakistan la raggiunse solo nel 1998. Nessuno dei due Paesi ha firmato il Trattato di non Proliferazione Nucleare, non ponendo dunque vincoli alla ricerca e all’implementazione dei rispettivi arsenali. La situazione pareva tuttavia essere rientrata nel 2003 con il raggiungimento di un accordo di “cessate il fuoco” tra India e Pakistan dopo un anno di sangue lungo il confine nel Kashmir. Inoltre il Governo di Islamabad si era impegnato a interrompere il finanziamento dei ribelli musulmani presenti nel territorio del Kashmir controllato dall’India, come riportato dalla BBC. La fragile tregua pare però essersi sfaldata nel 2014 con l’insediamento del nuovo governo indiano. Il Partito Popolare Indiano guidato da Narendra Modi ha infatti promesso una linea dura contro il Pakistan. Una dichiarazione che ha trovato effettivo riscontro proprio la scorsa estate 2016.
Proteste e manifestazioni di strada da parte della comunità musulmana contro il Governo indiano hanno caratterizzato i mesi di luglio e agosto. Nelle stesse manifestazioni si sono però infiltrati gruppi di militanti musulmani che hanno attaccato l’esercito di Nuova Delhi, provocando la morte di 19 soldati. La replica indiana è stata immediata. Nuova Delhi ha condotto infatti raid aerei oltre il confine indiano, che hanno comportato la morte di due soldati pakistani. Il Ministro della Difesa pakistano così dichiarò a seguito dell’attacco: “Noi distruggeremo l’India se oserà portare la guerra contro di noi. L’esercito del Pakistan è ben preparato per fronteggiare qualsiasi azione indiana”. Una minaccia che è stata immediatamente raccolta dalla controparte indiana. Se da una parte infatti Nuova Delhi ha intrapreso un programma di evacuazione dei villaggi posti al confine con la parte pakistana (10.000 indiani sono stati fatti sfollare finora), dall’altra il Governo indiano ha deciso di abbandonare del tutto la dottrina nucleare del “No First Use”, come specificato dal Ministro della Difesa. Questo significa che l’India potrà portare un attacco nucleare al vicino anche solo a seguito di una percepita minaccia e non necessariamente dopo un attacco diretto da parte di Islamabad.
I preparativi al conflitto non finiscono qui. Lo scorso 9 gennaio il Pakistan ha condotto “con successo” il primo test del Missile da crociera lanciato da un sottomarino Babur-3, con un raggio di 450 chilometri.
L’Ufficio stampa dell’esercito pakistano ha definito il test come “ la manifestazione di una strategia di risposta misurata per strategie nucleari e atteggiamenti che sono adottati da vicini del Pakistan”. I due Governi sembrano dunque non voler escludere la possibilità di un conflitto nucleare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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