Il pm Claudia Ferrari ha chiesto la condanna di tutti gli imputati del processo per le firme false presentate a sostegno della lista del Movimento 5 Stelle alle elezioni comunali di Palermo del 2012. La richiesta è di due anni e tre mesi per il cancelliere Gianfranco Scarpello e per l'avvocato Francesco Menallo, di un anno e sei mesi per Claudia La Rocca, ex deputato regionale siciliano, che ha confessato e collaborato alle indagini, e di 2 anni per tutti gli altri. Si tratta degli ex deputati nazionali Riccardo Nuti, Giulia di Vita e Claudia Mannino, dell'ex deputato regionale Giorgio Ciaccio, della ex collaboratrice del gruppo all'Assemblea regionale siciliana Samantha Busalacchi, di Giuseppe Ippolito, Riccardo Ricciardi, Pietro Salvino, Alice Pantaleone, Antonio Ferrara. Il processo andrà in prescrizione nel prossimo febbraio. Nel corso della requisitoria il pm ha esposto, davanti al giudice monocratico della quinta sezione del tribunale di Palermo, Salvatore Fausto Flaccovio, alcuni dati emersi nel corso delle indagini: tra questi il fatto che su 1202 persone sentite dalla Digos nel corso delle indagini, 791 abbiano disconosciuto la propria firma. La falsificazione si sarebbe resa necessaria per l'errore sul luogo di nascita di uno dei candidati, Giuseppe Ippolito: era stato indicato Palermo e non Corleone (Palermo), come in realtà era accaduto. Il concreto timore di essere esclusi dalla competizione elettorale aveva indotto aderenti e simpatizzanti, su spinta che sarebbe arrivata da Nuti, all'epoca candidato sindaco, a ricopiare tutto, nella notte tra il 2 e il 3 aprile del 2012.
La consulenza fatta eseguire dalla Procura ha fatto emergere che 1175 firme sarebbero totalmente e sicuramente apocrife. Gli imputati rispondono, a vario titolo, di falso e della violazione della legge regionale che ha recepito il testo unico in materia elettorale. Alla sbarra cinque ormai ex politici: gli ex deputati Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino, che sono stati sospesi de imperio dal comitato dei probiviri del Movimento, dopo che essersi avvalsi della facoltà di non rispondere nel primo interrogatorio, rifiutando anche di lasciare agli inquirenti un campione della propria calligrafia. In seguito hanno definito l'inchiesta "una montatura", sono entrati in polemica pubblica con Beppe Grillo e hanno lasciato volontariamente il gruppo parlamentare pentastellato.
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