Ergastolo, così si è pronunciato la Procura di Palermo che ha chiesto la massima pena "nella certezza della loro colpevolezza" per i sei imputati dell'omicidio Fragalà. L'avvocato Enzo Fragalà venne aggredito a colpi di mazza o con un bastone molto pesante intorno alle 20.30 del 23 febbraio 2010. Tre giorni dopo morì all'ospedale Civico di Palermo per le ferite provocate dall'aggressione in via Nicolò Turrisi, a pochi passi dallo studio professionale del penalista e dal tribunale di Palermo. Il motivo del delitto, secondo i pm Francesca Mazzocco e Bruno Brucoli, sarebbe stata l'abitudine di Fragalà, per difendere i propri clienti, di farli parlare con i magistrati. Cosa che portò l'avvocato a essere "ritenuto pericoloso - ha detto il pm Mazzocco - perchè la difesa deve cedere alle ragioni del sodalizio mafioso, dell'omertà". Un pestaggio di cui per l'accusa è certa la matrice mafiosa e che avvenne a poche decine di metri dal palazzo di giustizia di Palermo, dunque in una zona teoricamente supersorvegliata, ma solo le telecamere di un negozio Mail Boxes che sorge nei pressi dello studio Fragalà inquadrarono casualmente due persone che passarono da lì un paio di volte, prima in salita e poi in discesa, disinteressandosi del trambusto che si stava verificando a pochi passi. L'accusa ha sempre sostenuto che si trattasse di Antonino Siragusa e Salvatore Ingrassia: le perizie non lo hanno confermato con certezza e Siragusa, che ha fatto numerose e contraddittorie ammissioni, ha sempre negato che lui e il coimputato Ingrassia fossero i due individui ripresi.
L'Agi ricostruisce la versione dei fatti. A colpire materialmente Fragalà sarebbe stata una sola persona: un uomo alto, robusto, che indossava un casco scuro senza visiera. Si tratterebbe di Antonino Abbate, mafioso del quartiere palermitano della Kalsa. Del commando avrebbero fatto parte anche Francesco Castronovo e Paolo Cocco, che avrebbero direttamente appoggiato il sicario, contribuendo poi a far sparire la mazza assieme proprio a Siragusa, presente sul luogo con funzioni di appoggio logistico svolte con Ingrassia. Francesco Arcuri sarebbe stato l'istigatore e poi avrebbe ceduto il coordinamento ad Abbate. A chiedere l'omicidio sarebbero stati il boss Nino Rotolo (da anni detenuto al 41 bis), capo di Pagliarelli, e Gregorio Di Giovanni, che comanda sul mandamento di Porta Nuova, indagato, ma non sottoposto a misura cautelare (è detenuto per altro). I carabinieri si sono basati sul contributo di Francesco Chiarello, pentito che ha fatto riaprire un'indagine in un primo momento archiviata, ma che ha reso, pure lui, versioni apparse contraddittorie. A lui si sono aggiunti altri collaboranti, una serie di intercettazioni effettuate da varie forze di polizia nei giorni dell'aggressione e altre, mirate, eseguite sui singoli sospettati.
Nelle richieste di pena i pm Mazzocco e Brucoli non hanno proposto alla prima sezione della Corte d'Assise, presieduta da Sergio Gulotta, alcuno sconto per Antonino Siragusa, uno dei sei imputati, che ha reso una versione ritenuta dalla Procura molto lacunosa ed evasiva.
Lo stesso Siragusa, che nella scorsa udienza ha chiesto scusa ai familiari della vittima, ha cambiato più volte le proprie tesi e ha apportato al proprio racconto dei fatti una serie di correzioni, frutto, secondo i magistrati, di problemi psichici creati dal consumo di stupefacenti e non dalla deliberata volontà di depistare. Ieri in aula c'era anche la figlia Marzia che ha dichiarato come "la mafia porta solo morte e distruzione".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.