Già negli anni Cinquanta, quando in Italia si bandì una crociata contro i fumetti, da più parti considerati giornaletti idioti che rovinavano i ragazzi, Dino Buzzati non si accodò alla vulgata benpensante e moralista. Ce lo spiega bene Lorenzo Viganò, massimo esperto dello scrittore-giornalista che quest'anno ha curato una nuova edizione, ricchissima e con molto materiale inedito, dello storico Album Buzzati (Mondadori), solo per caso una straordinaria biografia «per immagini e parole». «Buzzati - fa notare Viganò - scrisse chiaramente che era sbagliato generalizzare, e distingueva fra certi fabbricatori di fumetti dalla fantasia stentata, la tecnica dilettantesca, i gusti bassi, tutti uguali e disegnati male, e il fumetto come mezzo di comunicazione, al pari del libro e il cinema: come ci sono libri e film deprecabili oppure originali, così ci sono fumetti pessimi e inutili o ottimi e intelligenti. Bisogna soltanto sapere - e Buzzati lo intuì subito - che la differenza fra i fumetti buoni e cattivi sta nella capacità di schiacciare o esaltare la fantasia del lettore».
Insomma, se le storie sono ripetitive e scontate, tutte sparatorie e scazzottate, e le immagini rozze e didascaliche, che dicono già tutto, scena dopo scena, allora non permetti al ragazzo di mettere in moto l'immaginazione: e quando uccidi il Babau, uccidi la fantasia; se invece il disegno è di un grande artista, e Buzzati pensava ad Arthur Rackham o a Gustave Doré, le cui illustrazioni spesso ricordiamo più degli stessi versi di Dante, allora ciò è la scintilla che dà fuoco all'immaginazione che permette al lettore di inventare il suo mondo...
E Dino Buzzati, formidabile inventore di mondi, amava davvero il fumetto, in molte sue forme. Nel 1962 esce Diabolik, creato dalle sorelle Giussani nella Milano del boom, e lui se ne innamora. C'è una famosa fotografia di Buzzati nel suo studio, mentre lavora, e alle sue spalle, appeso nella libreria, un poster del Re del terrore. Lo scrittore chiamò il suo cane, un basset hound, «Diabolik», e quando la sera, a letto, un romanzo lo annoiava, si voltava verso la moglie Almerina e le diceva «Dài, passami Diabolik!». Sono anni infestati dai Kriminal, i Satanik, i Fantax e i Sadik. Ai quali il suo dipinto La Vampira (1965) deve molto... Nel 1968 Buzzati firma la celebre prefazione all'Oscar Mondadori Vita e dollari di Paperon de' Paperoni, dimostrando di aver capito benissimo il personaggio. E nel '69, fra lo stupore di molti, pubblica il Poema a fumetti (che oggi Mondadori ripubblica), un'opera per adulti sperimentale, a metà tra il romanzo e il fumetto, che rielabora il mito di Orfeo e Euridice in chiave pop, considerato una delle prime graphic novel mai pubblicate. E qui, nel suo Poema, a conferma delle sue vecchie convinzioni, ogni tavola è un'opera d'arte.
Buzzati del resto si considerava più un pittore che uno scrittore. Infatti è un artista moderno: che ruba, cita, assembla, si appropria, dando vita a qualcosa di nuovo e di profondamente diverso dagli albi usa-e-getta dei fumetti dozzinali, qualcosa che innesca timore, inquietudine, sogni, incubi, in una parola: la fantasia.
Come farà, in maniera mirabile, fra cultura alta e devozione popolare, in quello che di fatto è il suo ultimo libro pubblicato in vita, I miracoli di Val Morel (e che oggi Mondadori ripubblica nel formato originale, quello voluto dallo stesso autore nella prima edizione del 1971 per Rizzoli, con la prefazione di Indro Montanelli), una raccolta di dipinti e brevi commenti imperniati su alcuni miracoli immaginari che la tradizione attribuiva a Santa Rita da Cascia e ambientati a Valmorel, località vicino a Limana, in provincia di Belluno. La sua Belluno.
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