Il paradosso spazio-temporale degli XTC

Storia della semisconosciuta band inglese alla quale Police, Blur e Coldplay devono tanto. E che nei primi anni '80 aveva già inventato tutto il britpop.

ROMA - La difficoltà nella dimostrazione dei paradossi spazio-temporali si può spiegare in musica. Nel nostro passato c'è un pezzo di futuro che non è stato riconosciuto come tale. E questo «futuro» del nostro passato non si può descrivere se non come un universo parallelo del quale la nostra contemporaneità è pressoché ignara.
Chi ci permette di risolvere questa difficilissima equazione? Gli XTC, il gruppo pop-rock di Swindon, che ha «ricreato» i Beatles a cavallo degli anni '70 e ha «anticipato» di oltre 15 anni il britpop senza che nessuno dei comuni mortali si sia praticamente accorto della loro esistenza. E un pop senza successo commerciale per sua stessa natura non è totalmente pop.
Eppure gli ingredienti per sfondare c'erano proprio tutti. A partire dalle due menti del gruppo: Andy Partridge e Colin Moulding, due «bestie» che anche Lennon e McCartney dei bei tempi avrebbero invidiato. E se non bastasse tanto talento alla produzione dei loro album hanno lavorato personaggi del calibro di Steve Lillywhite e di Hugh Padgham che hanno missato i loro capolavori «Drums and Wires» e «Black Sea». Giusto per ricordarlo Lillywhite è colui che contribuito al miracolo U2 prima che se ne appropriasse Brian Eno (attualmente impegnato a rovinare i Coldplay). Padgham, invece, è l'inventore dei «gated drums» di Phil Collins e soprattutto il responsabile del riempimento di tutte le piste disponibili durante la registrazione di «Ghost in the machine», l'album che segnò la svolta per i Police e per Sting (il primo grande fan degli XTC) che lo volle con sé anche nella sua carriera solista.
Se questi sono gli ingredienti, non ci si possono attendere che scintille. Infatti pezzi come «Generals and Majors» (nel video si riconosce un giovanissimo Richard Branson) che anticipa di oltre un decennio «Girls and Boys» dei Blur e l'immensa «Making plans for Nigel» sono musicalmente attualissime. Senza contare «This is Pop?», il loro manifesto programmatico del 1978, ossia il disimpegno totale.
Si comprende facilmente perché abbiano faticato a vendere dischi: non c'entravano nulla con il loro Zeitgeist e sono stati scambiati per alieni. Se a questo si aggiunge il panico da palcoscenico di Andy Partridge che dal 1982 non calca più le scene (gli stessi fan che si recano a Swindon non lo salutano per non metterlo in imbarazzo), la frittata è fatta. Della loro ricezione in Italia non vale la pena parlare giacché la stampa di settore di fine '70, totalmente ideologizzata, li bollò come «punk» e chiuse il discorso lì.
Se volete conoscere questi «paradossi» di una dimensione parallela, non vi resta che ascoltare «The Compact XTC», una raccolta dei loro singoli migliori pubblicata nel 1987 dopo l'ottimo esito di «Skylarking» del 1986, il loro album più «venduto» ma precursore della parabola discendente che li portò a sciogliersi venti anni dopo. Per molti gli XTC sono la band di «Dear God». Beh, non è così: sono coloro senza i quali forse i Police, i Blur e gli stessi Coldplay non sarebbero stati così grandi.

Ma proprio perché questi «paradossi» hanno infilato quelle curvature dello spazio-tempo che spingono il viaggiatore in un'epoca remota sono stati condannati a vivere da precursori, da profeti di un'era che sarebbe arrivata solo molto dopo.

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