Pareto, che smascherò la propaganda e comprese il (vero) ruolo delle élite

Pensatore eclettico, fu apprezzato da Keynes e, di recente, da Boris Johnson

Pareto, che smascherò la propaganda e comprese il (vero) ruolo delle élite

Pareto è stato un intellettuale eclettico. La ricchezza del suo pensiero e la capacità di far interagire discipline e temi all'apparenza distanti tra loro lo rendono attuale. Le sue riflessioni riemergono costantemente nel dibattito culturale. La stampa britannica si è molto incuriosita al fatto che l'ex premier Boris Johnson nel congresso del Partito conservatore, tenutosi nell'ottobre del 2021, accanto a Margaret Thatcher tirasse fuori dal cilindro un intellettuale come Vilfredo Pareto.

La sua relazione con il mondo britannico la si deve a un saggio, L'Italie économique, che, nel 1891, appare su la Revue des deux mondes, dove con una critica serrata al sistema politico italiano di fine Ottocento lo paragona a quello «tristement célebre de Walpole» nell'Inghilterra settecentesca. Un'analisi che colpì il collega austriaco Joseph A. Schumpeter che osserva come l'economista italiano con qualche eccesso è coerente con la sua visione di una società liberale di individui contrapposta alla società massa.

Pareto è uno dei pochi intellettuali italiani ad aver intrattenuto una relazione epistolare John Maynard Keynes, più giovane di lui ma già direttore dell'Economic Journal.

Contro il positivismo evoluzionistico, Pareto aveva scoperto il valore della storia reale sull'illusione della saggezza; dunque, la vittoria dell'individuo con le sue aspirazioni e determinazioni, capace di migliorare con i suoi sforzi la condizione generale. Alla fine del suo originale percorso giunge a configurare la società dirigista come un limite allo sviluppo, spiega, in opposizione a Marx, che la storia umana non è fatta di lotta tra le classi, bensì di lotta tra élite che si servivano di questa o quella classe per conservare il potere.

Pareto ha fornito gli strumenti teorici da opporre alle verità di parte presentate come verità assolute, mostrandoci che esse sono desideri che una parte della società ha rivestito di una coltre utopica per propagandarle. Raymond Aron ha sottolineato quanto gli studi di Pareto abbiano fatto luce sui metodi con i quali si persuadono gli altri uomini, evidenziando l'importanza per l'individuo di avere dei miti in cui credere e attraverso cui costruire una visione dell'esistenza. Razionalizzando anche il non logico. Pareto ci insegna che una teoria può avere successo pur essendo falsa se essa è capace di appagare un sentimento collettivo.

La «teoria delle élite», che Pareto condivide con un altro studioso di peso, Gaetano Mosca, troverà entusiasti propagandisti in Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini che vi videro un preciso riferimento all'insoddisfazione sulla qualità della classe politica italiana d'inizio secolo e l'auspicio a promuoverne un rinnovamento.

Sulla rivista Il Regno, Giuseppe Prezzolini presenta le teorie paretiane e il suo giudizio sulla classe dirigente italiana in un lungo articolo, L'aristocrazia dei briganti (1903), è una delle prime volte in cui il termine casta è associato alla politica. «Noi ci troviamo d'accordo con lui; nel disprezzo cioè», scrive il fondatore della Voce, «per tutta quella parte di classe dominatrice che paurosa, imbelle, atrofizzata per l'inerzia... suicida di paura». A Prezzolini rispose lo stesso Pareto con un altro scritto, La borghesia può risorgere?, nel quale auspica una assunzione di responsabilità appunto della borghesia.

Anni prima, fra il 1893 e il 1897, dalle pagine del Giornale degli economisti aveva messo a nudo gli errori della politica fiscale ed economica dei governi in carica, gli scandali (come quello della Banca Romana), il prevalere degli stretti interessi di parte. Si guadagnò la definizione di «Karl Marx della borghesia» per la sua ripetuta affermazione del valore del libero mercato e del ruolo della borghesia imprenditoriale.

L'economista Giuseppe Palomba che ha curato, nel 1971, per Utet il Corso di economia politica, avverte che «scrivere su Vilfredo Pareto è compito poco agevole» perché è «un pensatore che ha avuto sottomano zone vastissime dello scibile umano dalle scienze esatte alla storia, dall'economia alla sociologia, dall'antichità classica al socialismo contemporaneo».

Pareto è un dissacratore, nell'atto di denudare le ipocrisie di chi agisce sentendosi investito di una missione sociale e persegue una forma utopica di umanitarismo ideologico il cui vero fine è conquistare il potere.

Per Pareto l'interesse della Nazione è fondamentale. È necessario dare voce al popolo ma è altrettanto importante consentire la circolazione delle élite e favorire una formazione eccellente delle medesime.

Delle leggi adeguate e l'attenzione per la volontà popolare non risolvono i problemi di gestione della res publica, serve innanzitutto una élite competente che riesca a misurarsi con le sfide del tempo che abita.

Diffidando delle tecnocrazie asettiche, certamente, ma non affidandosi neanche ai cantori di populismi sterili e demagogici.

*Estratto della relazione del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano al convegno «Vilfredo Pareto a cento anni dalla scomparsa»

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