Piccola premessa. Ha ragione Daniele Capezzone quando a metà dell’evento in ricordo di Antonio Martino, in maniera un po’ provocatoria – come tipico del suo stile - ringraziando il presidente della Camera dei Deputati Lorenzo Fontana afferma che nei confronti dell’ex ministro liberale “c’è stata parecchia avarizia in ogni sede istituzionale”. In effetti l’evento di oggi, ha rappresentato un punto importante di svolta nella storia del liberalismo italiano. Martino è tornato a casa, e lo ha fatto dalla porta principale che conduce verso quel Salone della Regina dove lo attendono i vertici militari, uomini dello Stato, parlamentari, esponenti del mondo culturale e giornalistico, nonché tanti estimatori.
In una sala gremita e tirata a lucido dal cerimoniale come per le grandi occasioni, a farla da padrone, con il suo fare garbato, è Gianni Letta. È forse suo il ritratto più bello e commosso che emerge in questa tranquilla e uggiosa mattinata romana. Lui che aveva già conosciuto Gaetano Martino, il padre di Antonio, ministro degli Esteri (Pli), stimatissimo da De Gasperi, e tra i fondatori dell’Europa. All’apparenza poteva essere un’infanzia agiata, ma anche pesante, di mezzo c’era quel cognome che avrebbe spaventato chiunque. Invece lui, in punta di piedi, e sempre con il rispetto e i consigli del padre, suo vero esempio, decise di seguirne le orme. E quando Berlusconi nel 1994 varò il primo governo preferì andare alla Farnesina, divenendo ministro degli Esteri, per onorare la memoria paterna (e della famiglia). Era il raggiungimento e il coronamento di una carriera che fece di questo “figlio d’arte” uno dei più autorevoli economisti, pensatori e politici del ‘900 italiano e internazionale.
Il presidente Fontana lo ha omaggiato come “un anticonformista, rispettoso degli avversari, autorevole economista, dalla battuta ironica e dal sarcasmo amaro”, ma soprattutto ne ha evidenziato il suo profondo amore per quella libertà che fu alla base di ogni scelta della sua vita: “Libertà per la quale aveva un autentico culto”. È proprio dal concetto di libertà che si inserisce l’intervento appassionato di Gianni Letta, segnato da qualche appunto che si era portato con sé, utile giusto per citare alcune frasi di Martino ed altri amici. Per il resto lo storico direttore del Tempo, alla soglia di 90 anni, è un vortice di ricordi, aneddoti e battute, grazie alle quali riesce a prendere lentamente per mano il pubblico rendendolo partecipe del suo sentito e commosso ricordo. “Quella di Antonio è stata una vita straordinaria, di un uomo straordinario… Le sue lezioni erano fuochi d’artificio”, ma aggiunge: “Era un liberale di minoranza che gioiva ad essere controcorrente e per convinzione non si piegava alla cultura dominante e conformista. Fu un liberale autentico, e dopo di lui non ho più trovato uomini così autenticamente liberali”.
E quindi c’è spazio per alcuni episodi poco noti della prestigiosa e impegnata vita intellettuale e politica di Martino, come quando da studente di Giurisprudenza fece una tesi su Keynes. Smontò le sue teorie, prese 110/110 e lode, nonostante il professore fosse uno dei più attenti e impegnati studiosi dell’economista britannico: “Fu un paradosso, eppure ci riuscì” (G. Letta). Fu Fedele Confalonieri, al vertice del gruppo, con Letta vicepresidente, a chiamarlo ad un tavolo settimanale in cui c’erano anche Marconi, Bozzo, Urbani, Del Debbio, per dare maggiore spessore culturale alla comunicazione del gruppo televisivo. Berlusconi, venuto a conoscenza di queste riunioni, si fece mandare le varie schede, ascoltava Martino con attenzione “e forse”, dice Letta, “fu in quel cenacolo che Silvio prese la decisione di scendere in campo…”.
Raimondo Cubeddu, professore di filosofia politica, menziona commosso quando – a Pisa - in occasione di una conferenza “tra amici liberali, si presentò anche Antonio, e per me fu un grandissimo onore. Io e la mia famiglia non dimenticheremo mai”. In quella occasione, ebbe modo di presentargli il suo nipotino di cinque anni a cui disse: “Adesso non lo sai, ma un giorno capirai con chi stai parlando”. La conclusione non poteva non essere affidata ad uno dei migliori allievi di Martino, Nicola Porro, autore del libro Il padreterno è liberale in cui omaggia il suo maestro. Davanti ad una Carol Erickson Martino emozionatissima, il vicedirettore del Giornale, ha riconosciuto una delle principali caratteristiche del politico liberale: il suo essere semplicemente anticonformista.
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