Peres gela Prodi su Hamas «Dialogo? Solo a monologhi»

da Roma

Ma di Hamas come presenza necessaria per un produttivo tavolo della pace... D’Alema e Prodi gliene hanno parlato? Shimon Peres non fa una piega per non smentire il grande idillio tra il nostro governo e Israele di cui aveva parlato pochi attimi prima a conclusione dei due giorni di visita ufficiale in Italia, prima tappa estera della sua presidenza. Ma il fatto che accenni a «cibi diversi» nella cena con Prodi e nella colazione avuta poi con D’Alema già fa capire che qualcosa non quadra.
Tesi che si rafforza quando ammette di sapere perfettamente che il titolare della Farnesina non fa che ripetere che bisogna dialogare con Hamas. «Ma al contempo - aggiunge gelido - sa che Hamas non risponde. Con loro si può installare un monologo e non un dialogo perché non hanno intenzione di discutere».
E non è finita qui. Il presidente israeliano - che in precedenza aveva parlato di «grande simpatia» tra Roma e Gereusalemme e di «gratitudine» per il nostro governo «ma anche per l’opposizione» - spiega laconico che quelli di Hamas «vogliono un Medio Oriente molto diverso da quello che vogliamo noi». Non due Stati, Israele e Palestina, pronti a riconoscersi entrambi e a convivere pacificamente, ma un Paese solo «governato dagli ayatollah dell’Iran». E in ultimo, una nuova stoccata a chi nel governo Prodi insiste per un discorso aperto con «tutte le parti in causa». Dice Peres: «Se davvero si vuole un dialogo, inutile andare a Gaza. Bisogna partire da qualche altra parte. E cioè a Teheran: è da là che vengono gli ordini...».
Il muro israeliano per un coinvolgimento dell’ala estremista dei palestinesi resta insomma in piedi e bello saldo. Come quello fatto costruire al confine coi territori che, rileva il presidente israeliano, «per ora resta come misura di sicurezza, visto che ha fatto diminuire dell’80% gli attentati dei kamikaze». Il muro vero potrebbe però anche esser distrutto - aggiunge scherzando - «visto che abbiamo una tecnologia vecchia di 4.000 anni in materia e ci inventammo a Gerico». Quello contro i terroristi, resta. Peres infatti chiarisce che Gerusalemme è pronta a concessioni, ma in cambio di fatti. Non di sole parole. Lo manda a dire a Damasco, ricordando che per ben tre volte, premier israeliani si dissero disposti a restituire le alture del Golan, ricevendo rifiuti. Lo comunica anche alla Lega Araba, che non solo non ha poteri su Hamas ed Hezbollah, ma fatica a trovare una linea comune. Sull’Iran è invece meno disponibile: lo ritrae come un Paese che pensa di essere una superpotenza e finanzia e arma terroristi dovunque può.
Se la regione è ancora turbolenta, Peres - che ieri ha visto anche Benedetto XVI, dialogando con lui del rapporto Israele-Vaticano, ma anche di ecologia, «visto lo stato del pianeta e l’inquinamento che non ha certo bisogno di visti per passare i confini» - qualche «barlume di luce» dice invece di vederlo nel rapporto con Abu Mazen.

Lui e Olmert, rivela, «stanno lavorando sodo» per una dichiarazione d’intenti comune che dovrebbe suggellare il vertice di Washington di metà novembre. E che si spera possa essere la pietra miliare della pace tra i due popoli.

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