Il perfetto imperfetto di Bertozzi & Casoni

Rifiuti, stoviglie sporche, disordine. Ma anche gli omaggi dei due scultori ad artisti del passato

Nessun dubbio che l'opera di Bertozzi & Casoni sia un ininterrotto memento mori. E non solo nei soggetti pertinenti, dove un cumulo di ossa richiama il nostro destino, ma in tutte quelle composizioni in cui l'apparente splendore della materia è minacciato da rifiuti organici, insetti, cicche di sigarette, lumache. Le stoviglie si accumulano come dopo un pranzo. La perfezione esecutiva accentua la percezione degli scarti alimentari e dei rifiuti. La mimesi riproduttiva insiste sulle imperfezioni ed esalta il disordine domestico come metafora del disordine del mondo. Tanta precisione tecnica nasconde una visione pessimistica: non si contano i barattoli, i flaconi di medicinali, i gusci rotti delle uova. Partiti da un virtuosismo estremo, radicale, iperrealistico, con l'obiettivo di stupire, di ingannare, attraverso una percezione delle materie tradotte in ceramica, Bertozzi & Casoni si avviano a soggetti in cui le decomposizioni e il degrado dominano, secondo quanto essi stessi intendono nel maturare del loro percorso a partire dalla fine degli anni Novanta: «È la grande svolta: si apre il capitolo delle contemplazioni del presente, in cui, in una sorta di epopea del trash, l'attrazione per quanto è caduco, transitorio, peribile e in disfacimento diventa icona, internazionalmente riconosciuta, di una, non solo contemporanea, condizione umana».

Nella nuova esposizione alla Galleria Civica di Trento, insieme ad effetti sorprendenti per dimensioni, sfide, confronti, come nel rovesciamento di Mademoiselle Caroline Rivière di Ingres in un gorilla del Cross river, per un colto divertimento, si trovano suggestioni impreviste come le ceramiche ispirate alle stagioni di Arcimboldo, che sembrerebbero la più libera manifestazione della fantasia creativa di Bertozzi & Casoni, mentre sono, con mia massima soddisfazione, la testimonianza di un'opera diligentemente compiuta su commissione, come nel Rinascimento. Lo dico con legittimo orgoglio perché ne fui io il committente, pensando a loro per l'Expo di Milano del 2015. Mi pare che per l'occasione ne abbiano eseguite due, e oggi finalmente vediamo la serie completa, con l'aggiunta di una quinta scultura arcimboldesca nello spirito con accrochages di prodotti industriali, fuori stagione, per corrispondere a una committenza ulteriore di Gian Enzo Sperone. L'apparente fedeltà ai modelli ispiratori di Arcimboldo è come sempre accompagnata da elementi di disturbo: compresse, sigarette, porta capsule. Il risultato è del tutto originale e sempre volto alla dissoluzione, come per un invincibile turbamento. Ha osservato Marco Senaldi: «Anche se l'Arcimboldo (Inverno) ha l'apparenza di una citazione, pare evidente che non si tratta di una semplice rivisitazione dell'antico né di una semplice traslitterazione dal quadro bidimensionale alla scultura tridimensionale. Se, già nell'esempio antico, lo sguardo viene preso in trappola (poiché crediamo di vedere un volto là dove ci sono solo degli ortaggi), nella ricostruzione di Bertozzi & Casoni continuiamo a credere di vedere ortaggi (ma anche mozziconi di sigarette...) dove invece ci sono solo degli ornamenti ceramici. Arrivare per secondi su Arcimboldo è come mettere in trappola una trappola, prendere al laccio una tagliola: qui non è più questione di trompe-l'oeil, ma di inganno culturale, di trompe-l'esprit. Se si dovesse trovare un nome per questo gioco ardito esso non risiederebbe nell'arte, ma nella filosofia: è la famigerata negazione della negazione con cui Hegel designa la vitalità stessa della cultura che lui chiama semplicemente Spirito (Geist)».

Non so se sia propriamente così, ma è certo che da un lato l'obiettivo di Bertozzi & Casoni è la meraviglia, lo stupore, la travolgente efficacia della opera di transustanziazione, dall'altro la ricerca di un segreto o di un mistero delle cose. Si resta a bocca aperta e non si rimpiangono i dipinti originali. Si può andare oltre questa soglia? Si può superare questo esempio di virtuosismo? Fatto sta che, oltre allo stupore e all'ammirazione, Bertozzi & Casoni esprimono il rigore e il giudizio sul disordine del mondo.

Una storia comune di idee e di ambizioni ci unisce in una impresa tanto assurda, che ha la sola giustificazione in una sfida vinta, come è sempre l'opera di Bertozzi & Casoni. Anche in questa tappa trentina dove, fra opere selezionate nello studio di Imola, in una frenesia produttiva apparentemente senza limiti, si appalesano nuove tenui invenzioni ispirate a opere delle collezioni del Mart, su provocazione di un divertito e nevrotico curatore come Gabriele Lorenzoni. È così la volta, dopo il precedente dell'Arcimboldo, di altri originali e travolgenti d'apres, per coincidenza tematica o per ispirazione. È dichiarato in cartellone: «In un percorso espositivo al confine fra ironia e indagine sociale, 4 sezioni monografiche si intrecciano a 4 confronti tematici nelle quali il lavoro dei ceramisti dialoga con un'attenta selezione di opere di grandi maestri appartenenti alle Collezioni del Mart. Il primo confronto coinvolge Lucio Fontana e Fausto Melotti in una riflessione sulla ceramica come medium, non più disciplina minore destinata alle arti ornamentali, ma scultura dipinta, adatta a forme contemporanee di sperimentazione. Protagonista del secondo dialogo è Giorgio Morandi a cui Bertozzi & Casoni dedicano un ciclo di opere. È poi il turno della fotografia, linguaggio rappresentato dagli artisti Thomas Demand e Clegg & Guttmann che nei loro scatti circoscrivono porzioni di quotidiana realtà. Nell'ultimo accostamento Bertozzi & Casoni hanno realizzato due lavori site-specific, omaggi che celebrano la figura dell'architetto trentino Adalberto Libera e le Collezioni del Mart».

Ci sono poesia e tenerezza, in queste derivazioni che contemplano anche la polvere dei modelli cui si ispirano. Umiltà e passione, nell'impegno a superare anche la verosimiglianza, per cogliere una essenza segreta delle cose. Bertozzi & Casoni hanno imitato anche il suono dei materiali, come la latta, o l'opacità della plastica.

La metafora di questa finzione, che è la natura stessa dell'arte (il finxit che accompagna il pinxit, in alcuni maestri di grande evidenza illusionistica come Vittore Carpaccio), culmina nella riproduzione del filo della resistenza della lampadina. È una involontaria dichiarazione programmatica. L'arte esiste in quanto resiste. Anche un monito in questi tempi bui.

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