La saga dei Ferragnez vittime predestinate

Fino a poco tempo fa credevo che Ferragni e Fedez giocassero a fare le vittime. Invece mi sono dovuta ricredere

La saga dei Ferragnez vittime predestinate
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Fino a poco tempo fa credevo che Ferragni e Fedez giocassero a fare le vittime. Invece mi sono dovuta ricredere, anche alla luce degli ultimi sviluppi della loro tormentata vicenda nonché dopo l'intervista del cantante andata in onda ieri nel programma Belve. Mentre lo vedevo piangere, mentre confessava come un recluso disperato davanti al peggiore dei boia (cioè a sé stesso, altroché a Francesca Fagnani) mi sono convinta che vittime autentiche lo sono anche lui tanto quanto l'ex moglie, lo sono loro come i figli e in definitiva come il grosso delle persone ossessionate da questo Titanic coniugale, da questa scheggia di tragedia fino alla fine così glamour, così cool e così glitterata, da questo disastro oscuramente luccicante tra gli altri e più feroci disastri che da mesi attanagliano il mondo.

Nonostante la marginalità della vicenda, ribadiamo l'ovvio, la parabola Ferragni-Fedez ha fatto assolutamente storia, essendo oltremodo rappresentativa e trasversale, urlandoci con una potenza inaudita quello che la contemporaneità vuole essere più di ogni altra cosa: vittima.

«Essere vittime dà prestigio» ha scritto Daniele Giglioli, in uno saggio stupendo pubblicato una decina d'anni fa (Critica della vittima, edizioni Nottetempo), «impone ascolto, promette e promuove riconoscimento, attiva un potente generatore di identità, diritto, autostima. Immunizza da ogni critica, garantisce innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio. Come potrebbe la vittima essere colpevole, e anzi responsabile di qualcosa? Non ha fatto, le è stato fatto. Non agisce, patisce. Nella vittima si articolano mancanza e rivendicazione, debolezza e pretesa, desiderio di avere e desiderio di essere. Non siamo ciò che facciamo, ma ciò che abbiamo subíto, ciò che possiamo perdere, ciò che ci hanno tolto».

E a togliere, non solo nel caso di Ferragni e di Fedez, ci pensano i social, che in meno di una generazione hanno denudato l'umano, eclissandone ogni propensione al mistero e alla sorpresa, al senso del mistico e del sacro, dell'interiorità e del privato. Essere vittima, nel 2024, significa soprattutto essere esposti, significa rimanere nudi, così tanto nudi da potersi coprire solo paradossalmente spogliandosi, spogliandosi ancora di più, solo andando ad aggiungere altre rivelazioni a quelle che già traboccano ovunque: nel caso di Fedez, ieri, anche l'ammissione di aver tentato il suicidio appena maggiorenne.

A che è servito divulgare questo elemento tanto tragico? L'ha fatto apposta, magari? Vuole forse una maggiore attenzione? Ha bisogno di più occhi puntati come fucili pronti a fare fuoco?

No, ne sono certa.

Fedez (al pari di Chiara Ferragni e della gran parte delle creature umane del pianeta) agisce come agisce perché immerso fino al collo nella corrente attuale, perché il peso del silenzio tanto quanto del coraggio (vero) difficilmente si può reggere e non rimane che aggrapparsi a ciò che pare l'unica opzione sul tavolo: continuare a denudarsi, continuare a essere una vittima.

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