La sede dell'incontro non poteva che essere quella: il «viceministro delle tasse», Vincenzo Visco, ieri è arrivato a Genova nella sede dell'Agenzia delle Entrate di via Fiume per festeggiare i dieci anni dell'agenzia. E lì è giunto scortassimo, intorno alle 10.30.
La sua capacità di appeal nell'elettorato, compreso quello del centrosinistra, lo aveva tenuto lontano dalla Lanterna durante la recente campagna elettorale. E al suo arrivo, anche ieri, non sono mancate le contestazioni. Mica quelle dei commercianti o dei piccoli medi imprenditori, «vittime» predilette dello storico ministro delle Finanze del primo governo Prodi, oggi al lavoro all'ombra di Padoa Schioppa. Non c'erano neppure gli operai, che hanno conosciuto «la cura Visco» nelle busta paga 2007. A contestarlo invece, si sono presentati i «suoi uomini»: gli impiegati del pubblico impiego, i lavoratori dell'agenzia delle entrate. Una cinquantina di persone che lo hanno fischiato e salutato con cartelloni tutt'altro che di benvenuto: «Dite a tutti che ci rendete schiavi del signoraggio», «Sciopero generale: salari europei, contratti di lavoro veri», «Non tagliare le pensioni ma recuperare le evasioni», «Tasse: pagare meno, pagare tutti».
E a spiegare il senso della protesta ci ha pensato Pietro Andriani, lavoratore nell'esecutivo regionale del pubblico impiego: «Raccontano che vogliono puntare sulla lotta all'evasione fiscale, ma come è possibile se non ci pagano le indennità in modo adeguato, se non assumono nuove persone, e se ci vengono concesse pochissime ore di straordinario retribuite? A parole, in politica, è facile dire una cosa, ma senza il nostro lavoro pratico è impossibile stanare gli evasori». Simonetta Peruzzi rilancia: «Non vogliamo più promesse e pacche sulle spalle, vogliamo che si investa sul nostro futuro». E ancora: «Chiediamo a Visco e al direttore dell'Agenzia delle Entrate di aprire un tavolo di confronto ampio tra governo, parti sociali e organizzazioni sindacali sulla materia fisco».
Il viceministro però schizza dentro la sede dell'agenzia, noncurante dei contestatori così come delle domande dei giornalisti. Eh già, perché «l'uomo delle tasse» ha pensato di rispondere solo alle domande gradite e poi voltar le spalle a tutti gli altri. Al Giornale ha risposto con l'arma del maggior disprezzo: il silenzio. Ai cronisti del Secolo XIX ha invece dovuto spiegare come deve funzionare il tollerante apparato informativo di sinistra: «Con voi non ci parlo, non mi siete simpatici». Perché se il Giornale è reo di non aver perdonato nulla a Visco, di aver criticato la sua politica fiscale lacrime e sangue, di aver parlato degli intrecci Ds-Unipol per la scalata Bnl, di aver documentato le sue pressioni al generale Speciale, notizie che hanno portato a un dibattito parlamentare e a un'appena avviata inchiesta della magistratura, del quotidiano genovese non sono piaciute le indagini sulle slot machine e su altri giochi d'affari. Così gli uomini della scorta hanno dovuto «proteggerlo» dalle domande e allontanarlo dai giornalisti.
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