PIVI L’arca di Noè è colorata di bianco

Paola Pivi, milanese di nascita, ma nomade nella vita, da New York a Londra, da Alicudi all’Alaska dove ora vive, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del ’99, apre a Milano la sua mostra, curata da Massimiliano Gioni per la Fondazione Trussardi, nei Vecchi Magazzini della Stazione di Porta Genova, prima di presentare a gennaio una grande personale alla Kunsthalle di Basilea.
Entrando ci troviamo circondati da animali bianchi di ogni razza: il pavone, i pesci, la civetta delle nevi, pecore e caprette, galline e papere, oche e cigni, mentre uscendo il paesaggio si trasforma in una folla di oggetti doppi: camper, cassonetti, tostapane... A fare da spartiacque un aereo rovesciato «come quando una persona si sdraia su un prato a guardare il cielo». Il titolo della mostra, «My Religion Is Kindness. Thank You, See You In The Future», è stato suggerito all’artista da un amico tibetano: la gentilezza è una disposizione dell’animo, una qualità sostanziale, non formale, si tratta di un invito, un auspicio, ma anche di un’offerta, pensando al candore che emana dalla mostra.
Come ha scelto questo spazio?
«Me lo ha proposto Massimiliano Gioni. Erano i vecchi magazzini della Stazione di Porta Genova. Mi è piaciuto moltissimo perché sembra di essere in campagna. La cosa incredibile è che prima di riempirlo sembrava infinito, sembrava quasi impossibile percorrerlo tutto, ora che c’è la mostra dentro sembra molto più piccolo».
Guitar guitar, il lavoro finale, sembra un’arca di Noè degli oggetti che si accumulano in coppia. Ho visto il primo allestimento che ne ha fatto, a Sonsbek nel 2001, qui è più forte, non solo perché gli oggetti sono più numerosi, ma anche per il tipo di percorso che lo rende più concentrato, più denso. Risulta molto evidente l’idea di densità che c’è sempre nei suoi lavori. Una cosa che mi piace molto della mostra è una sorta di percorso dal naturale all’artificiale, perché si parte entrando tra i bellissimi animali bianchi e si arriva in questo regno delle cose passando attraverso la tappa dell’aereo rovesciato. L’aereo in fondo è un volatile tecnologico.
«Animali e oggetti sono cose del mondo che ci circonda. Però c’è una differenza fondamentale: gli animali più li guardi e più li ami, gli oggetti dell’ultima stanza più li guardi e più li odi. Da quando ho fatto quel lavoro la prima volta a Sonsbek sono completamente immunizzata dal consumismo e da qualunque desiderio di tipo materialistico».
Tra gli animali c’è tutta una serie di dinamiche relazionali. Osservandoli a lungo scopri una dialettica nei rapporti, gli amori, gli odi. La mucca ama il cavallo, lo segue sempre e cerca di abbracciarlo, di baciarlo. Il cagnolino detesta la mucca e abbaia quando la vede...
«Le cavalline erano gelose della mucca. Il cagnolino e il coniglio si inseguono e il coniglio gioca a fare il finto morto. Sono una tribù. Quello che invece mi interessa degli oggetti è che tu vedi tutti questi oggetti, alcuni di alto design, molto costosi, altri molto cheap, altri, come i trattori, esclusivamente funzionali, e alla fine sono tutti uguali, magari sono più belli quelli più economici, ti rendi conto che molti sono sopravvalutati e che non c’è una grande differenza dall’uno all’altro, al contrario che per gli animali».
Come se ad alcuni oggetti venisse attribuito un plusvalore. Una cosa che mi ha colpito è che tutti gli animali ci guardano, il lama ci fissa sempre. So che pensa da un po’ di tempo a questo lavoro degli animali bianchi, lo aveva mai realizzato?
«La prima volta li ho esposti a giugno alla galleria Perrotin a Parigi, anche lì erano molto liberi e tranquilli, ma la performance è stata solo una sera, mentre qui saranno visibili per tutta la durata della mostra. Molti credono che io abbia pensato ai cavalli di Kounellis, ma non ci ho pensato affatto, ho pensato piuttosto alla mostra solo per gli animali di Gino De Dominicis. L’accento è più sul gioco che sulla presenza degli animali».
Casomai più che ai cavalli di Kounellis mi viene da pensare alla prima mostra di Richard Serra che nel ’66 aveva presentato alla Salita di Roma animali impagliati e animali vivi in vari habitat. Ne aveva ventisette nello studio! Comunque, quello di pensare sempre che ci sia un riferimento a chi ha usato il materiale per la prima volta è un vizio molto americano, in realtà si possono usare le stesse cose in modo talmente diverso! A me invece vengono in mente certe performance di Vanessa Beecroft che sono come disegni, pitture con una dominante cromatica. Gli animali bianchi sono innanzitutto un vero e proprio monocromo.
«Sì, è un monocromo.

Non sarebbe uguale però se fosse rosso o marrone, il bianco non è un colore, ma è l’assenza di colore. C’è anche una diversità di toni bianchi e comunque il fatto che siano tutti bianchi fa percepire di più la diversità delle forme. È una gran bella festa».

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