Il poetico Domenico Ponzi scultore di terra e famiglia

La più alta espressione di libertà creativa dell'artista iniziò con l'avvento del Fascismo

di Vittorio Sgarbi

Inizio a scrivere con la massima soddisfazione perché credo che la funzione del critico sia svelare ciò che è ignoto, anche semplicemente ri-vedendolo e, talvolta, vedendo il noto con occhi nuovi. Tra le imprese di cui sono più orgoglioso c'è la riscoperta di un grande e dimenticato pittore sardo: Brancaleone da Romana. Oggi mi ritrovo nelle stesse condizioni potendovi parlare di Domenico Ponzi (1891-1973), e senza dovervi fare immaginare attraverso le mie parole quello che da oggi è possibile vedere in una provvidenziale mostra al Civico museo di arte moderna e contemporanea di Anticoli Corrado. In questo museo è da poco finita una mostra su Fausto Pirandello dedicata all'ispirazione dai suoi familiari, in particolare il figlio Pierluigi. Anticoli è stata un crocevia di artisti straordinari, e ancora vi sono i loro santuari, come lo studio del grande, anch'esso dimenticato, Pietro Gaudenzi. Ad Anticoli vissero e lavorarono Arturo Martini e Attilio Selva, ma il loro destino li ha portati altrove.

Ponzi, nato a Ravenna, sposando Angela Toppi iniziò a frequentare Anticoli. Una delle sue prime importanti sculture è il bassorilievo Nudo di donna del rilievo in argilla, del 1918: uno studio di accademia, prova d'esame, per il quale aveva posato la giovanissima anticolana Pompilia D'Aprile, che dieci anni dopo avrebbe sposato Fausto Pirandello. Ponzi scrisse alla madre note emotivamente coinvolte sulla modella, descrivendo le sue forme perfette e il suo carattere vitale. La composizione con Pompilia era parte di un fregio più ampio; la ragazza è vista nuda, inginocchiata, mentre tende un braccio per afferrare un oggetto, i capelli raccolti a crocchia, secondo l'uso del tempo. La figura è levigata, la profondità garantita dal movimenti delle masse. La figura richiama la coeva Baccante (1919) del grande medaglista e scultore, amico di Ponzi, Aurelio Mistruzzi. Ma il vero paradosso di Ponzi è che, uscito dagli anni della formazione con le riflessioni su Leonardo Bistolfi e l'incrocio con le moderne esperienze di Domenico Baccarini e Domenico Rambelli a Faenza e di Giuseppe Romagnoli a Bologna, la sua più alta espressione di libertà creativa inizia con l'avvento del Fascismo.

Furono molti gli scultori ispirati dalla ripresa del mondo classico, che ha il suo epicentro negli eroici atleti dello Stadio dei Marmi di Roma, alcuni di grande talento. Nessuno fu «organico» al regime come Ponzi. Il suo fascismo è legato alla autenticità del mondo contadino, alla nobile semplicità della vita quotidiana, riflessa nel «vero» della scultura. Giustamente Andrea Iezzi, curatore della mostra di Anticoli, parla di «poetica della ruralità». Quando Ponzi concepisce (1929) per la confraternita di San Rocco, ad Anticoli Corrado, il suo San Rocco, in legno di sorbo, propone una sintesi di stile decò e arcaismo, per dare forma a ciò che è espressione della natura, come nel Vecchio di Osimo, dello stesso anno, in cui traduce la figura di un mendicante nel quale vede un profeta biblico. Ma il culmine della sua ispirazione è nel capolavoro del 1930, La madre, di cui lui stesso parlerà sulla rivista Famiglia fascista: «Chi è nato nella semplicità di vita e cresciuto nel tepore di affetti familiari, porta nel proprio cuore i palpiti della bellezza materna: palpiti che nella scultura non sorgono solo dalle linee e dalle superfici anatomiche della pura perfezione fisica della donna madre, ma espressione viva e dinamica dei sentimenti che legano la madre col figlio, anelli di una stessa catena di questa umana esistenza, tanto più elevata quanto più elevate sono le correnti sentimentali che la alimentano. Nella semplicità di vita, giova ripetere, nel lavoro, in mezzo ai campi, all'aria libera ed al sole, germoglia più espressiva e più sana la bellezza materna, che si tramanda dalla nostra cara mamma alla nostra sposa, mamma dei nostri figli, mentre essa spesso affievolisce fra le dovizie, nel riposo e negli svaghi, fra i corrotti miasmi della città».

Il fascismo è la famiglia, la patria, i valori della tradizione. E Ponzi ne rappresenta, nelle pure forme, un'integrità e una misura che hanno l'eguale soltanto nella coeva scultura di Arrigo Minerbi, scultore ebreo ferrarese che interpreta sinceramente gli ideali del fascismo. Anche l'Orfanella, del 1934, o Al di là dell'aratro, del 1937, sono immagini cariche di spiritualità e di valori semplici legati al mondo contadino, come luogo della autenticità senza retorica. Alberto Bragaglia vide in Ponzi «la rara capacità di far parlare le cose, nel giuoco sobrio di suggestivi effetti in attitudine comunicativa». Fierezza e verità si vedono nei ritratti Liliana Falconi, esposto nel 1936 alla VI mostra di arte sindacale fascista. Ponzi riesce a coniugare intimismo e innata ispirazione monumentale, ben oltre i risultati di uno scultore nobile ma distaccato, lontano dalla vita, come Antonio Maraini. Lo si vede bene anche nel Ritratto della moglie, fiera e dolcissima. A una sintesi analoga, in quegli anni, giungono rari artisti, tra i quali certamente Attilio Selva e Mario Parri. Mai retorico e sempre autentico, Ponzi si manifesta anche nel nudo esposto nel 1941 alla quarta Quadriennale di Roma, dal titolo Dopo la tempesta o Sogni di quiete. Anche in questo caso la fonte viene da Anticoli. Una modella in abbandono con il volto attraversato dalla malinconia.

Fu Vittorio Emanuele III a interpretarla come una allegoria delle sorti dell'Italia, mortificata nel tempo della seconda guerra mondiale. Nello stesso periodo (sono gli anni del premio Cremona, in dialogo con Hannover), la «Commissione per gli scambi Italo-Tedeschi» acquistava una seconda versione in marmo di La madre, per farne dono a Adolf Hitler; la scultura fu inviata nel 1943. Pinzi passò con la famiglia ad Anticoli il periodo della guerra, dal 1943 al 1945, continuando a ritrarre con intensità e partecipazione: e furono il Ritratto di Gina Pagnotta, il Ritratto di Luigi Piacentini, detto Pilone, Dopo il bombardamento (per questa opera posò l'anticolana Elena Meddi), il Pastore che difende l'agnello (è il ritratto di Antonio Grifoni, detto Tutù), tutte opere del 1944. Il periodo tra guerra e dopoguerra fu denso di privazioni e di sofferenze. L'artista riprese il lavoro con il Monumento funebre Pistacchi per Verano, nel 1946. Durante la Quaresima di quell'anno, incontrando il predicatore (romagnolo come lui) Ireneo Squadrani, l'artista ebbe una profonda conversione. Nel 1947 concepì la statua della Madonna della Rivelazione, collocata nella Grotta delle Tre Fontane, in cui la Madonna era apparsa a Bruno Cornacchiola e alla sua famiglia. Nel 1948 lavorò nella Chiesa di Castelforte (Latina) a fianco dell'antico amico Ercole Drei, e per importanti commissioni religiose volute dal cardinal Celso Costantini e da influenti prelati: San Pietro Pescatore (1951) per il Collegio di San Pietro Apostolo sul Gianicolo, la Via Crucis (1951) per la Chiesa del medesimo Collegio. Nel dopoguerra la fiducia nei valori in cui aveva creduto declina in una rappresentazione malinconica e residualmente intimistica. La delusione non è rinuncia, non è sconfitta, ma è ripiegamento su se stesso nell'isolamento di Anticoli Corrado, al centro della propria coscienza e della propria profonda autenticità.

Proseguì a ritrarre i volti anticolani che lo interessavano: in particolare il bellissimo Ritratto di Anna Piselli (1953) nel quale colse il momento di delusione e di rabbia della ragazza dopo la fine della relazione con il pittore inglese Peter Lanyon (1918-1964).

Oggi, della grandezza di Domenico Ponzi nessuno può dubitare.

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