La coperta è corta e Berlino frena la revisione del Patto Ue

Margini risicati con le vecchie regole di stabilità. Von Der Leyen media ma il governo tedesco chiude

La coperta è corta e Berlino frena la revisione del Patto Ue
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«Se il Tesoro è fondamentale, la vita umana non lo è». Sebbene poco o nulla affascinati dalle speculazioni filosofiche, anche ai devoti delle pratiche contabili potrebbe perfino scappare una citazione dal Caligola di Camus. Le discussioni sulla riforma del Patto di stabilità, accalorate come quelle sulla partita doppia di quattro ragionieri al bar, mettono al centro la sola questione dei quattrini, lasciando in una terra di nessuno il benessere collettivo. Soffocate dalla pandemia, le famigerate politiche procicliche che impongono sacrifici di bilancio anche in tempi di crisi, rischiano infatti di rientrare dalla porta principale se da qui a fine dicembre non ci sarà modo di rimodulare le regole con cui l’Unione europea indirizza - e controlla - le finanze pubbliche.
L’Italia arriva al rush finale con la coperta già corta, tanto sono scarse le risorse da destinare nella manovra a misure espansive o di contenimento del carovita. Ma il lenzuolo potrebbe ridursi a fazzoletto se il Patto tornasse al format originale che impone l’abbattimento, ogni 12 mesi, di un ventesimo del debito che eccede il 60% del Pil. In soldoni, trattasi di oltre 50 miliardi l’anno: una cifra impossibile da reperire anche vendendo a peso d’oro la fontana di Trevi, il Canal Grande e il versante tricolore del Monte Bianco.
Anche perché sulla quadra di bilancio peserà sia il deterioramento della congiuntura (l’Ocse ha reso noto ieri che il Pil italiano si è contratto dello 0,3% nel secondo trimestre), sia i rialzi dei tassi decisi dalla Bce. Alcune stime collocano fra 2-2,4 miliardi di euro la maggior spesa annuale per interessi per ogni mezzo punto di inasprimento da parte dell’Eurotower. L’opera indefessa di Christine Lagarde, che dal luglio ’22 ha fatto salire di 425 punti base il costo del denaro, ci sarebbe insomma costata 17 miliardi.
Un motivo in più per il governo Meloni di puntare, attraverso la proposta del ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti, a una rivisitazione soft del Patto. Spalleggiata da Francia e Spagna, Roma chiede l’introduzione di una «regola d’oro» tale da consentire di non calcolare nel computo del deficit gli investimenti sostenuti per la transizione ecologica, il digitale e la difesa.
La Germania non solo non vuole saperne di diluizioni del disavanzo, ma si è anche opposta alla proposta della Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen che prevede un taglio annuo del deficit di almeno lo 0,5% del Pil e l’estensione a sette anni del piano di rientro dal debito in caso di investimenti strategici.
Il ministro tedesco delle Finanze, Christian Lindner, pretende invece un abbattimento dell’1% del debito rispetto al Pil.

Berlino potrebbe però ammorbidire la propria posizione se ottenesse in cambio qualcosa sul fronte degli aiuti di Stato, necessari per aiutare i settori in crisi come l’edilizia. In una recente intervista, l’ex premier Mario Monti ha detto che «la Germania non cederà» nonostante sia in recessione. Più che un’affermazione, forse un auspicio.

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