La Germania non sarà in recessione piena, come sostiene Christine Lagarde, ma di sicuro due anni di progressivo rallentamento della crescita fino a registrare i primi segni negativi sono un buon motivo per accelerare il percorso inverso sul costo del denaro: c'è soprattutto questo dietro la decisione della Banca centrale europea di manovrare verso il basso la leva dei tassi per la terza volta in soli quattro mesi. Perché se è vero che tutta Europa ha cominciato a tossire, è però la situazione economica della Germania, soprattutto per gli effetti depressivi che l'ex locomotiva potrebbe irradiare sui partner di prossimità, che preoccupa maggiormente. Al punto di convincere i banchieri dell'Eurotower che ormai più che l'inflazione, rientrata nei ranghi sebbene non ancora «decollata» (copyright Lagarde), è l'andamento del Pil il dato da monitorare con maggiore attenzione. Del resto l'Italia, che pure vanta un tasso di crescita oscillante tra lo 0,8 e l'1%, proprio ieri ha appreso con un brivido del brusco calo (il 6,7%) delle nostre esportazioni verso l'area euro, in gran parte rappresentata dalla Germania. Sicché sia benvenuto questo nuovo taglio che darà certamente una spinta sia all'accensione di nuovi mutui per l'acquisto della casa sia alle imprese che potranno così finanziare i nuovi investimenti a condizioni meno onerose.
Basterà a riaccendere gli economic drive in via di spegnimento? Sebbene le scommesse su un 2025 in ripresa siano in aumento - la stessa Bce ieri è parsa sorprendentemente ottimista a tal proposito - l'incognita resta viva. L'auspicio è che la risposta allo stallo dell'economia europea risulti più tempestiva di quella avviata nel 2022 per contrastare un'inflazione che la stessa Lagarde aveva per mesi qualificato come «temporanea». Per questo sui mercati cresce il tifo affinché al nuovo taglio dei tassi ne segua a stretto giro un altro, e poi un altro, e un altro ancora fino a raggiungere in pochi mesi quel 2% che si considera ideale per una crescita stabile ed equilibrata.
Quanto all'effetto sui conti pubblici, di sicuro il taglio di ieri male non fa. Perché se è vero che lo spread non subisce influenza diretta - il significativo calo a quota 119 è dovuto soprattutto alla positiva accoglienza della manovra di bilancio da parte dei mercati - sul fronte degli interessi a carico del debito l'effetto benefico è certo.
Cosa che si riverberà in modo virtuoso sulla manovra stessa, favorendo una maggiore stabilità finanziaria capace di compensarne il carattere restrittivo che il ministro Giancarlo Giorgetti ha dovuto imporre (causa Patto di stabilità) e che persino un accanito critico come Carlo Cottarelli si è sentito di dovere di ammettere che allo stato «non ci sono alternative».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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