L'assist di Draghi contro il rigore Ue

L’ex premier all’"Economist": "Tornare alle vecchie regole? Il risultato peggiore"

L'assist di Draghi contro il rigore Ue
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Un assist di lusso per Giorgia Meloni. Mario Draghi rompe un lungo silenzio e con un meditato discorso sposa la linea dell’eurocambiamento: più sovranità condivisa e nuove regole per un nuovo Patto di stabilità.
L’Europa è a un bivio: mettersi sulla scia degli Usa o annaspare, ritornando magari alle vecchie regole capestro che incombono. Che fare? Siamo a un tornante decisivo e l’ex premier, da tutti strattonato e indicato per una sfilza di incarichi che sono rimasti fiction, si inserisce nel dibattito in un momento cruciale, sposando in qualche modo la linea dell’esecutivo che chiede parametri meno stringenti e più ossigeno per crescere. Nell’Eurozona, spiega Draghi all’Economist on line, servono «nuove regole e più sovranità condivisa».
Che vuol dire in concreto? «Le strategie - prosegue l’ex governatore della Banca centrale europea - che nel passato hanno assicurato la prosperità e la sicurezza dell’Europa, affidandosi all’America per la sicurezza, alla Cina per l’esportazione e alla Russia per l’energia, sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili». Insomma, così non si può andare avanti, ma qui è anche peggio perché si rischia di fare la parte del gambero: la discussione è in corso e in mancanza di un accordo si scivolerebbe fatalmente nel vecchio sistema. Se non si raggiunge un’intesa, i numeri del deficit e del debito che tanto ci hanno tormentato nel passato, si ripresenteranno minacciosi a fine anno. Questo per Draghi sarebbe il peggio del peggio: «Tornare passivamente alle vecchie regole sospese durante la pandemia sarebbe il risultato peggiore possibile». Molti sono convinti che finirà così: nel tira e molla fra partner che hanno esigenze diverse se non opposte, si sceglierà di non scegliere e dunque l’ Europa indosserà il cappotto logoro e ingessato che aveva messo in naftalina ai tempi del Covid. Ma questo, per Draghi, vorrebbe dire rinunciare alle sfide epocali in gioco: «L’Europa dovrà affrontare una serie di sfide sovranazionali che richiederanno ingenti investimenti in un breve lasso di tempo, compresa la difesa, la transizione verde e la digitalizzazione. Allo stato attuale - è la bacchettata assestata attraverso il settimanale britannico - tutta l’Europa non ha né una strategia federale per finanziarli, né le politiche nazionali possono assumerne il ruolo, perché le norme europee in materia fiscale e sugli aiuti di Stato limitano la capacità dei paesi di agire in modo indipendente».
L’Europa non ha budget, i singoli paesi hanno le mani legate. «Ciò attacca Draghi - contrasta nettamente con l’America dove l’amministrazione di Joe Biden sta allineando la spesa federale, i cambiamenti normativi e gli incentivi fiscali al perseguimento degli obiettivi nazionali».
Gli Usa corrono, l’Europa boccheggia: il governo Meloni - insieme ad altri - sta cercando in verità di far saltare l’armatura che imprigiona il continente e gli impedisce di stare al passo con la contemporaneità, ma non è detto che l’estenuante mediazione approdi ad una conclusione positiva. «Senza azioni - insiste l’ex capo del governo - c’è il serio rischio che l’Europa non raggiunga i suoi obiettivi climatici, non riesca a fornire la sicurezza chiesta dai suoi cittadini e perda la sua base industriale in favore di regioni che si impongono meno vincoli».

Guai, allora, a riproporre le antiche «regole fiscali». La strada è segnata: si deve andare verso «l’Unione fiscale nell’Eurozona e una maggiore condivisione della sovranità». Un’Europa più europea e meno divisa fra Nord e Sud. Lo chiede la Meloni, lo pensa anche Draghi.

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